Metafisica di una biblioteca
Macché ordine alfabetico. I libri fondamentali al centro, poi via via tutti gli altri. Un po’ come insegna Calasso
Una volta, a casa di una ragazza, vidi che aveva i libri ordinati secondo il colore della costola. Non che fosse indice di frivolezza: i libri erano migliaia. Eravamo sul divano e sopra e attorno a me si dipanava un’ampissima ghirlanda iridata, in onde versicolori che andavano dal duraturo bianco dei Supercoralli Einaudi e vecchia Bur al rosa, al rosso, al marròn, di lì all’arancio e poi al giallo, esso pure esteso tra Stile Libero e i “gialli”, appunto, Mondadori, e ancora al verde (non molto rappresentato), al turchese, all’azzurro, al blu, al viola e poi a un’oscura teoria di volumi dalla costola nera. I volumi Adelphi, con le loro variegate tinte pastello, garantivano una perfetta continuità tra i blocchi, senza sbalzi. La cosa mi diede da pensare, giacché, pur amando i libri, mai avevo seriamente riflettuto su come fosse opportuno ordinarli. Certo, l’ordinamento per colore poteva rassomigliare a una reductio del libro a complemento d’arredo, ma dall’altro lato poteva anche rispondere a un’avanzata tecnica mnemonica: io stesso, cercando un libro nella mia allora disordinata biblioteca, rammentavo anzitutto il colore della costola… Mi sovvenne un amico che, figlio di uno storico libraio fiorentino (la libreria è la Salimbeni: la si trova ancora, con tanto di libraio e, a volte di figlio, in via Palmieri, traversa di via Ghibellina), aveva il vezzo, certamente mutuato dai costumi di chi i libri li vende, di mettere quelli per lui più significativi di piatto: così entrando a casa sua capivi subito che per lui Dürrenmatt era importante, così come Borges, Kafka…
Mi piace pensare che fu allora che cominciai a pormi il problema. Per cominciare, mi accorsi che non era vero che la mia biblioteca fosse priva di ordine: ce n’era uno spontaneo, si sarebbe potuto dire di tipo geologico, dovuto all’uso, in cui i libri comprati di recente, o di recente letti, o riletti, o consultati, occupavano gli scaffali più a portata di mano, mentre quelli ormai dimenticati pian piano avevano sospinto se stessi e i loro sfortunati compari verso i limiti più estremi, prima dello scaffale e poi della biblioteca, della stanza. C’era anche una “colonna infame”: quella dei libri tanto brutti o insignificanti da essere ammucchiati in un angolo in attesa del momento in cui me ne sarei sbarazzato (va da sé che un libro non si può buttar via, tocca regalarlo, abbandonarlo da qualche parte o al limite venderlo a chi tratta volumi usati). Era tuttavia un ordine troppo figlio della natura, del tempo, per essere soddisfacente per un umano. Considerai la possibilità di dividerli per editore: scelta logica, visto quanto lamentavo la decadenza di tal prassi nelle librerie: quelle di catena avevano da tempo imposto il nocumentoso ordine alfabetico per autore (follia che, rivolgendosi a chi entra già sapendo che desidera acquistare un libro dell’autore X o Y, limita la principale funzione delle librerie, che è aiutare il lettore a trovare i libri che non sa di volere), con al massimo una rozza compartimentazione tra “classici”, “romanzi”, “gialli e thriller”, “saggi” e “guide”, e la maggior parte delle librerie si era adeguata, con una sofferenza da parte mia che trovava sollievo solo quando dovevo recarmi per lavoro a Roma, e giunto a Termini potevo infilarmi da “Borri Books” (peraltro una delle più fornite librerie italiane) e lì ritrovare l’ordine sacro. Ordine che però era sacro solo laddove i libri si vendevano: in casa mia avrebbe dato un’indesiderata evidenza a questo o quel testo, o peggio che mai condannato agli angoli invisibili i libri che non avevano compagnia editoriale, magari per l’essere antichi, o rari, oppure testi in lingua straniera acquistati durante questo o quel viaggio. C’era poi un altro problema: il fatto che i principali editori avessero da tempo aperto i cancelli delle loro collane maggiori anche a testi commerciali – il famigerato midcult! – che un tempo sarebbe stato impensabile affiancare ai capolavori che costituivano l’orgoglio e la stessa identità del marchio, rendeva improponibile una parete Mondadori, Einaudi, Feltrinelli o Bompiani tutta in vista; né la si poteva occultare, o i miei amati Vollmann, Morrison, McCarthy, Roth, Oz, Saramago, Houellebecq e Nin sarebbero scomparsi chissà dove. Per tacer del fatto che se in una biblioteca nata dal caso era legittimo che i Vangeli o la Baghavad-Gita il Tao t’e Ching stessero dove pareva a loro, adesso che introducevo un principio d’ordine il loro collocamento marginale, o in mezzo all’ultima novità mandatami da qualche ufficio stampa, risultava addirittura blasfemo.
Divisi per editore? A casa di una ragazza li vidi ordinati secondo il colore della costola. L’ordine di tipo geologico, con la “colonna infame”
A quei tempi non era ancora uscito Come ordinare una biblioteca di Roberto Calasso (Piccola Biblioteca Adelphi, 127 pp., €14 euro, colore: carta da zucchero), raccolta di tre piccoli saggi usciti in diverse sedi tra il 2016 e il 2019, più uno inedito, così dovetti arrangiarmi da solo, secondo indole. E di certo la mia indole, che da sempre vedeva una corrispondenza esatta tra griglia e cella (intesa come prigione), rifiutava la dittatura dell’alfabeto come quella del colore. Una volta separata la poesia, che voleva evidentemente star da sola – pareva gridarlo! – e quello che chiamai “scaffale scienza sacra”, dove i succitati Vangeli, Bhagavad-Gita e Tao t’e Ching non si sarebbero offesi a stare assieme, o in compagnia della Filosofia perenne di Huxley, di Puella, surge di Eckart o dei Racconti di un pellegrino russo (ma nemmeno del Grande sacerdote di Leary, di Magick di Crowley o dei Discorsi di María Sabina), finii per adottare un sistema per il quale non ho trovato una definizione migliore di “aree di potere” (il lettore esigente sostituisca pure “potere” con “mana” o “shakti”). Né più né meno “pensiero magico”, lo ammetto. Negli scaffali migliori, quelli centrali e a diretta portata d’occhio o, poco sotto, di mano, misi tutti i libri per me fondamentali: i romanzi che mi avevano formato, quelli che reputavo i migliori o quelli che, a volte anche contro il mio stesso volere, mi scoprivo a rileggere, riprendere in mano, consultare… Ne nacque un primo nucleo affascinante, anche per la natura dei volumi, giacché ad esempio possiedo varie edizioni della Recherche ma quella che lessi per prima e amai era l’umile edizione allegata a un quotidiano; per di più, i primi due tomi dei tre che raccoglievano l’opera, normalmente eptapartita, furono letti in spiaggia, d’agosto, cosa che gli aveva fatto assumere un colore decisamente più chiaro del terzo; oppure si prenda il mio Pasticciaccio, che aveva ancora i pezzettini di carta che avevo inserito una volta per ritrovare i passaggi da ricopiare, ma poi erano così tanti che avevo rinunciato, ed eccoli lì, minuscole lingue ormai attorcigliate, mummificate…
Attorno agli scaffali “maggiori”, tutti gli altri libri straordinari, eccellenti o anche solo molto buoni, più i libri ancora da leggere tra quelli che vantavano credibile reputazione di testo straordinario, eccellente o anche solo molto buono. In zone già più limitrofe, le cose solo buone, o carine, o accettabili, tra cui tanta letteratura contemporanea. Ancora più sotto, i tanti libri mediocri o bruttini o brutti ma troppo rilevanti o utili per finire nella colonna infame (colonna che, nell’atto della riorganizzazione, era cresciuta a sproposito e quindi imponeva un’azione ultimativa), mentre la parte alta e altissima della biblioteca avocava a sé per manifesto destino l’ospitare enciclopedie, dizionarî e altre fonti documentali organizzate per serie. I libri, infine, maledetti, come il Mein Kampf, il Malleus maleficarum o quelli regalatimi dalle ex fidanzate, trovarono collocazione naturale negli sportelli in fondo, dove una porta compassionevole me li risparmiava alla vista, concedendomi allo stesso tempo un brivido ogni volta in cui andassi a cercarne uno di proposito.
Fui soddisfatto, tant’è che a dieci e più anni di distanza non ho cambiato metodo. Nel frattempo, però, la scrittura è divenuta vieppiù un mestiere e la biblioteca è parallelamente levitata, costringendomi a volte a scelte dolorose – addio, Bellow, amore di gioventù: accontentati dello scaffale, comunque valido, in alto a destra; benvenuto, Bernhard, prenditi pure tutto lo spazio che vuoi qua al centro –, ma soprattutto a comprendere la famosa frase di Eco secondo cui una biblioteca è uno strumento di lavoro: se prima era un modo per menar vanto (con me stesso, dato che con l’intensificarsi della mia dedizione alla letteratura si intensificava anche una tendenza alla misantropia che da ragazzo mai avrei detto parte del mio carattere) di ciò che avevo letto, ora erano forse più, nei miei scaffali, i libri da leggere, o solo consultati a spizzichi e bocconi, di quelli già letti; inoltre, con l’accrescersi della mia competenza di bibliofilo, avevo scoperto che esistevano (specie nel tempo che fu) anche collane i cui libri, pur apparentemente spurî, non potevano non stare assieme… Così, di fronte a nuove esigenze e questioni, il sistema di potere (o mana, o shakti) della mia biblioteca mutava, si dimidiava, sviluppava totipotente nuovi filoni, filoncini, fil-rouge e filacce, arrivando di fatto a governare, in quanto unica vera legge trascendente, la casa.
Come muta il sistema di potere di una biblioteca, arrivando di fatto a governare, in quanto unica vera legge trascendente, la casa
Si capisce allora che leggendo le parole “Come ordinare la propria biblioteca è un tema altamente metafisico” che costituiscono l’incipit di quel Come ordinare una biblioteca di Roberto Calasso che nel frattempo è uscito e ho letto, mi sono sentito titillato e accettato nel profondo: “Se lo pensa lui,” mi son detto, “allora vuol dire che non sono così matto…”. Quando poi ho visto che il suo metodo – a parte l’uso del pergamino, “quella specie di carta velina che ancora oggi viene usata dai librai antiquari in Francia” – assomigliava molto al mio, mi sono addirittura esaltato: organizzo i libri come Calasso! Sono nel giusto! Gnosi, a me!
Poi sono arrivato al punto dove, parlando di come disfarsi dei libri indesiderati, questione a quanto pare rilevante per tutti, sta scritto “… Ma soprattutto pericolosi si rivelano gli omaggi dei viventi, che per motivi vari raggiungono gli scrittori, gli editori […], spesso con imbarazzanti dediche,” ho pensato ai miei libri – tutti, temo, con imbarazzanti dediche – che hanno raggiunto Roberto Calasso (e so che lo hanno fatto, giacché l’amico Guido Vitiello, che ha avuto l’onore della pubblicazione presso il suo marchio, mi avvisò una volta della certo stupefacente presenza del mio umile Impero del sogno sul suo augusto tavolo) e mi sono sentito nudo, indifeso e scrutato. Inevitabile allora collocare Come ordinare una biblioteca in uno scaffale limitrofo: lontano, molto lontano dalle posizioni di preminenza che hanno nella mia casa La rovina di Kasch, Ka e L’Ardore. Troppo impiccione, questo pamphlet. Ma il lettore abbia fede e lasci che si impicci: la sua biblioteca (o libreria, dato che il quarto saggio è dedicato a quella specifica tipologia di scaffale librario) ne guadagnerà, se non in ordine, in portato metafisico (o potere, o mana, o shakti).