Utili letture per amici catastrofisti
Ora che ci siamo stufati del coronavirus, possiamo tornare essere tutti meteorologi
Del premio Strega abbiamo smesso di chiacchiere già da un po’. Non senza aver preso nota che il doppiamente stregato Sandro Veronesi (uno, “Caos calmo”; due, “Il colibrì”) nella vita avrebbe voluto fare il cameriere, perché gli piace servire. Gli artisti ne sanno sempre una più del diavolo, il povero Leporello sempre appresso a Don Giovanni era di parere diverso: “Voglio fare il gentiluomo e non voglio più servir”. Del coronavirus ci siamo stufati. E forse anche lui si è stufato di noi.
Quindi si torna al tempo che fa, alle stagioni che spariscono, all’estate che colpirà caldissima perché l’inverno è stato tiepido. Oppure gelato, o piovoso, o asciutto, o qualsiasi cosa vi salti in mente. Nessuno ha mai capito quale sia la causa e quale l’effetto, e perché questa estate debba tener conto dello scorso inverno, quando magari lo scorso inverno si era basato sull’estate precedente, e dunque lasciamoli a farsi i dispetti tra loro.
Se serve un bel ragionamento completo, ne abbiamo uno fantastico e maneggevole. Aspettate il primo gran temporale estivo, e attaccate da uno qualsiasi di questi punti: “Lo sconvolgimento delle stagioni. La frequenza degli eventi disastrosi. Il freddo fuori stagione. Le piogge torrenziali. L’inesistenza delle primavere, gli scarsi autunni, l’estate che va e viene”. Esche vive, per ogni meteorologo dilettante in giro (hanno interrotto per darsi brevemente alla virologia, ora son tornati a scrutare il cielo e le nuvole). Meglio ancora se ci sono verdi credenti e praticanti. Quelli con il rustico senza luce, raggiungibile solo in macchina.
Sono parole scritte del duca di Saint Simon, nel 1701. Dopo che un uragano aveva scoperchiato il tetto della chiesa di San Luigi, nel centro di Parigi, morti e feriti tra i fedeli che ascoltavano messa. Lo si poteva intuire dalla mancanza dell’inverno, di tutte le stagioni la meno adatta agli umani. E quindi passò ancora un po’ di tempo prima che Goethe scoprisse quant’era romantico il pattinaggio sul ghiaccio.
Preoccupato, il duca di Saint Simon – professione cortigiano, tra alti e bassi, appartamento di servizio a Versailles – invoca i sapienti del tempo: “C’è da dar lavoro agli astronomi”. La citazione è rubata a un delizioso libriccino pubblicato anni fa dal Melangolo, Domani era bel tempo di Michel Cyprien (ne abbiamo comprato varie copie, per i catastrofisti che conosciamo, ancora qualcuna su Amazon rimane). “Variazioni sul tempo-che-fa”, dice il sottotitolo, e in effetti offre parecchi spunti di conversazione.
Per esempio la villa di Plinio il Giovane sul litorale romano, allora di moda come oggi Beverly Hills, non proprio un posto da meditazione. Ne possedeva un’altra sul lago di Como e un’altra in Val Tiberina, così da spostarsi a seconda delle stagioni che allora erano disciplinate. O almeno nessuno se ne lamentava, mentre il traffico romano e il degrado dei valori morali erano ben noti a Giovenale, che ne scrive nelle Satire. Plinio invece si lamentava dei troppi scribacchini che parlavano in pubblico dei loro volumi: bisognava presenziare, seppure controvoglia, perché ricambiassero il favore.
Dio punisce con un diluvio di quaranta giorni e quaranta notti, più centocinquanta perché passi la piena, ricorda Michel Cyprien, che ancora ricorda ii sussidiari scolastici francesi degli anni 40. La poesiola sulla stagione fredda cominciava così: “Ecco arriva l’inverno, l’assassino dei poveri”. Fu tolta perché faceva paura ai bambini, si intende quando i medesimi smisero di avere i geloni, grazie alla felice crescita che portò nelle case il riscaldamento.
Per il meteo è tutto. O quasi. Possiamo aggiungere il romanticismo da pozzanghera nell’ultimo e bellissimo film di Woody Allen, “Un giorno di pioggia a New York”. Per i duri di cuore, la scorciatoia verso un poco romantico raffreddore.