Prima trappola da evitare, secondo l’ammonimento di Emil Cioran: “Non si deve scrivere con l’idea di rivolgersi agli altri. Si deve scrivere per se stessi”. Condizione indispensabile “perché gli altri possano assimilarlo con profitto”. Seconda trappola: prendersi troppo sul serio. Ci cascò persino De André, “nella sua grandezza per un momento collassante, quando espresse l’irrimediabile avvilimento per le canzoni scritte contro la guerra. Eppure la guerra c’era ancora”. Antidoto: ricordarsi di come rispose Karl Kraus quando gli chiesero di esprimersi sugli “effetti e le conseguenze della Rivoluzione russa sulla cultura mondiale”. Ma in dieci o venti righe. Terza trappola, pensare di inventare un genere in voga dai tempi di Matilde Serao: il corsivo breve. Quarta trappola, non prendersi sul serio. Perché “non c’è niente di più tronfio, di burbanzoso di scrivere sulla prima pagina”. E allora bisogna essere seri, “concedersi la decenza di rifuggire dall’infingimento, dalle false modestie, dagli ammiccamenti, dalle accondiscendenze”. E questa trappola, descritta da sé medesimo, Mattia Feltri prova a evitarla quando ogni giorno scrive per la Stampa il suo Buongiorno: “Dire quello che c’è da dire, se necessario essere distanti, sgradevoli, persino elitari, essere contraddittori perché il pensiero coerente è un pensiero sterile”.
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