"E’ ancora possibile la poesia?” si domandò a un certo punto Eugenio Montale negli anni Settanta, fresco di Nobel, mentre, negli stessi anni, oltreoceano, a Richard Avedon veniva chiesto di fotografare l’intero quadro politico dell’epoca – dal presidente Ford ai banchieri, dagli editori a “tutte le forze che contribuiscono alla formazione dell’America”. Un lavoro monumentale, custodito al Metropolitan di New York. Quattro anni dopo, la fotografa Annie Leibovitz scattò l’ultima fotografia di John Lennon vivo, disteso a terra e nudo, abbracciato a Yoko Ono. Quell’immagine, pubblicata sulla copertina di Rolling Stone, diventò leggenda. Consacrò la Leibovitz, a lungo compagna di una delle più celebri filosofe d’America dello scorso secolo, Susan Sontag (che sul mondo dell’immagine scrisse tanto e meglio di chiunque altro, prima sul New Yorker, poi in un saggio, “Sulla fotografia”, Einaudi). Pochi anni dopo, la Fuji mise in vendita la prima macchina usa-e-getta della storia, così tutti, ma proprio tutti, ebbero la possibilità di mettersi in gioco e giocare con quel marchingegno che Baudelaire, strenuo difensore dell’arte pittorica, un secolo prima aveva classificato osceno, “un rifugio di tutti i pittori mancati, scarsamente dotati o troppo pigri per compiere i loro studi”. Insomma, tra poco la fotografia compirà due secoli e chissà se, pur nelle sue più rosee e stravaganti aspettative, Daguerre avrebbe mai sospettato che i suoi esperimenti si sarebbero trasformati in una serie di fotografie a prova di filtro di Instagram. In tempi di social, è ancora possibile la fotografia?
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