I confini del dibattito e il futuro della lotta al conformismo
Chi assumerebbe oggi uno come Christopher Hitchens, che non voleva risparmiare nessuno dalle sue invettive? La domanda (e la risposta) di David Brooks. “Spero che la lunga storia dell’esclusione e della segregazione intellettuale apparirà come una disgrazia”
David Brooks dice che quel che “chiamiamo erroneamente cancel culture è un tentativo di spostare i confini di quel che si può dire in modo da escludere non soltanto i conservatori ma anche i liberal e gli eterodossi”. David Brooks è un commentatore conservatore del New York Times, ha firmato la lettera di Harper’s per la libertà di dibattito e lui stesso, con quell’etichetta di “conservatore” in un giornale progressista, si sente custode ogni giorno di questa libertà. Nella sua ultima column dice che “la vita intellettuale dell’America è stata segnata da una serie di esclusioni”. La più grande e la più vecchia delle esclusioni riguarda le persone di colore, oggi ce ne sono altre: “dei conservatori dalla vita accademica” e “delle voci della working class dai media mainstream”, la “marginalizzazione di critici radicali”, della sinistra marxista e dei teologi di destra, e pure la professione dei giornalisti non era fatta solo di “yuppy delle coste, e ora per lo più lo è”.
Gli effetti sono stati devastanti, scrive Brooks. I conservatori esclusi hanno elaborato “risentimento e vittimismo” e “un misto di inferiorità intellettuale e superiorità morale” così “pensare non è stato più lo scopo, lo scopo è stato appartenere”. Anzi, pensare è diventato quasi un’attività sospettosa: è così che è nata, “con Sarah Palin e poi Donald Trump”, l’anti intellettualismo, la battaglia agli esperti.
Ai progressisti non è andata meglio: l’esclusione ha generato “insularità”, quella che chiamiamo bolla, “fragilità” emotiva e “conformismo”, per cui gli autori progressisti si sentono rappresentanti del gruppo, “e la prevedibilità diventa il punto”. Secondo Brooks la sinistra è più conformista della destra: “Christopher Hitchens è stato uno dei più grandi saggisti in America. Oggi non lo assumerebbe nessuno”, perché non voleva risparmiare nessuno dalle sue invettive. Ora i confini di quello che non si può dire si muovono di nuovo, e il fenomeno non è circoscritto ad alcuni ambienti o ideologie. Il “62 per cento degli americani dice di aver paura di condividere i propri pensieri”, secondo un sondaggio del Cato Institute.
“Spero che la lunga storia dell’esclusione e della segregazione intellettuale apparirà come una disgrazia – conclude Brooks – Lo sarà se sei in un’università e soltanto l’1,5 per cento dei membri della facoltà è conservatore (dico a te, Harvard). Una persona che si autosegrega ideologicamente sembrerà patetica. Spero che anche la definizione di esperto cambi – non un soldato sul campo senza potere, ma una persona che discute per arrivare più vicino alla comprensione”.