Perché una cosa sia interessante, scrisse Gustave Flaubert, è sufficiente guardarla a lungo”, ma nel caso delle fotografie di Henri Cartier-Bresson – fa notare invece Javier Cercas – accade l’esatto contrario: “Basta guardarle una volta per trovarle interessanti”. Tuttavia, anche se le osserviamo a lungo – precisa lo scrittore spagnolo che con i suoi libri (l’ultimo è un thriller, Terra Alta, appena uscito per Guanda) è riuscito a incarnare un’audace esplorazione delle linee che separano la realtà dalla finzione – è possibile che alcune non comunichino appieno il loro significato, come se fossero state create per dire qualcosa di diverso ogni volta che vi posiamo lo sguardo o come se ciò che vogliono dire non venisse mai svelato del tutto. Cercas, assieme al collezionista François Pinault, alla fotografa Annie Leibovitz, al regista Wim Wenders e alla conservatrice Sylvie Aubenas, è uno dei magnifici cinque che ha curato “Henri Cartier Bresson. Le Grand Jeu” a Palazzo Grassi, la mostra con cui Venezia reagisce e riparte dopo varie disavventure, lockdown compreso.
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