La nuova costituzione totalitaria dell’universo, l’invenzione della pandemia e la storia penosa del negazionismo finito nelle mani imprecise di un filosofo attaccato fino al ridicolo al suo partito preso
Il cretino pensoso si sposa bene con lo scrittore vanitoso. Giorgio Agamben è un campione mondiale della materia. Ha di recente riunito per Quodlibet una serie di scritti e interviste il cui argomento foucaulteggiante è la trasformazione della democrazia in biopolitica e della biopolitica in biosicurezza e governo dello stato d’eccezione, molto citati Hitler e Eichmann come prototipi o archetipi del supercontrollo globale dell’umanità in oscuro dispiegamento. Il fondamento o come direbbe il pensoso la Grundnorm di questa nuova costituzione totalitaria dell’universo è l’invenzione di una pandemia come pretesto. Nell’avvertenza alla silloge (“A che punto siamo? L’epidemia come politica”) Agamben si lascia però sfuggire, a cose fatte, una strana controverità che riduce in brandelli le sue pagine analitiche dense di falsa coscienza ideologica: “A questo punto, dice, non ha importanza se la pandemia sia vera o simulata”. Se ne ricaverebbe a fil di logica che non hanno importanza gli scritti di Agamben, veri o simulati, sull’invenzione della pandemia.
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