Quant'è difficile scoprire la bellezza in questo mondo frenetico e distrutto
“La bellezza salverà il mondo”, aveva scritto Dostoevskij. Lo farà davvero?
Pubblichiamo un estratto di “Scoprire la bellezza. Come può essere salvato il mondo?”, articolo che apparirà sul prossimo numero di Civiltà Cattolica (4083) in uscita sabato
Negli ultimi tempi si parla di nuovo e con più frequenza di bellezza, ma questo discorso non ha un’influenza particolare. I Papi parlano di bellezza quando si rivolgono agli artisti. Si menziona la bellezza come argomento a favore del vecchio rito liturgico tridentino. E qua e là ci sono concorsi di bellezza. Ma che cosa significa la bellezza in un mondo che sempre più rivela le tracce di una distruzione senza precedenti? “La bellezza salverà il mondo”, ha detto una volta Dostoevskij. Lo farà davvero? Oggi la bellezza è sempre più equiparata a ciò che piace. Ma la bellezza è sempre piacevole? E che cosa accade se si sperimentano dolore e morte? Quando si parla della bellezza, si deve porre una domanda che conduca al di là di ciò che è estetico: che cosa dà senso alla vita dell’individuo e alla vita di una società? Che cosa dà pienezza alla vita? Anche per l’annuncio di fede è fondamentale la risposta a tale domanda. Nelle società europee appare evidente che la risposta a tale domanda non può essere semplicemente il benessere generale: altro e di più è necessario per una buona vita.
La pienezza della vita verrà sperimentata da coloro che ricevono e godono la vita come dono. Questo atteggiamento non è affatto una cosa ovvia. Oggi si ha spesso l’impressione che ognuno di noi debba fornire una prestazione che giustifichi la propria vita di fronte alla società. Chi non è in grado di fornire tale prestazione viene preparato, come i bambini, a fornirla in futuro, oppure, come nel caso delle persone anziane o disabili, viene considerato sempre più come un peso che compromette la vita degli altri. Per chi invece considera la vita come dono, ogni esistenza è preziosa e bella.
Come esercitarsi a praticare tale atteggiamento? Che cosa posso fare perché la mia vita sia considerata come un dono? Un dono che accolgo con gratitudine, giorno per giorno? Innanzitutto, posso coltivare un senso di bellezza e mantenere la capacità di stupirmi. Un’altra possibilità sarebbe quella di esercitarmi a pensare oltre l’orizzonte terreno. Questi esercizi possono essere riassunti in uno solo: praticare il senso di stupore di fronte al bello, e proprio in questo atteggiamento cogliere un’apertura del mondo a una sua realizzazione al di là di se stesso. Nella percezione del bello si riconosce che tutto ciò che ci viene dato è un dono.
Quando si parla di bellezza nel contesto ecclesiale, di solito ci si riferisce all’arte. Nel suo discorso in occasione dell’incontro con gli artisti nella Cappella Sistina, il 21 novembre 2009, Benedetto XVI ha citato Paolo VI e ha detto ai convenuti: “Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo”. (…)
Oggi però la bellezza non viene più menzionata, ma scoperta: non è semplicemente data e comprensibile con una sola parola, ma appare sotto diverse forme. A seconda del contesto, queste forme o si riferiscono soltanto al mondo interiore, o fanno aprire lo sguardo su una realtà che trascende la Terra. I fenomeni del mondo non sono più di per sé evidenti: il modo in cui vengono visti e interpretati dipende dallo spettatore e dal contesto in cui egli li colloca. Il discorso sul bello è ancora valido, ma deve essere ispirato dai poeti e dagli artisti, dagli amanti e dai mistici perché oggi si riveli il segreto del bello. (…)
Quando parliamo della bellezza, dobbiamo sottolineare un elemento che nel XX secolo e fino ai nostri giorni ha acquisito una straordinaria importanza: il silenzio. Il senso del silenzio è la bellezza dell’attesa. Aspettare può essere lancinante, può torturare e persino uccidere; ma può anche avere una magia meravigliosa. Per essere bella, l’attesa deve essere strutturata e non essere soltanto un “non so cos’altro fare”. L’attesa deve essere sopportata: anche nella noia, io devo rimanere presente in modo raccolto. L’attesa mi prepara a una venuta. Allora acuisco i miei sensi, mi mantengo sveglio, divento sensibile a segni piccoli e poco appariscenti.
Di volta in volta, l’attesa viene premiata da un risultato sorprendente: qualcosa si apre a me, ma si sottrae anche di nuovo; eppure io so che è tutto lì. Tutti sanno cosa significhi guardare con pazienza, sempre di nuovo, le opere d’arte, ascoltare sempre di nuovo la stessa musica, ascoltare attentamente qualcuno, o semplicemente restare seduti e non fare nulla. Nell’arte del XX secolo, questa attesa è particolarmente favorita dalla mancanza di immagini. Perché davanti a un’immagine vuota, a una tela monocromatica o a un cubo rigoroso non c’è un contenuto da decifrare. Una musica al limite dell’udibile non mi trascina con sé, ma io vengo rimandato a me stesso e mi viene chiesto di tacere. Non vengo interrogato da nulla che mi distragga da me stesso. Sono solo con me stesso. Questo è il momento in cui in me può sorgere la bellezza dell’attesa. Perché nel vuoto, nel nulla e nel silenzio che si aprono io scopro che l’altro mi viene incontro, sia che sorgano per me i colori nella loro bellezza, sia che si manifesti la straordinarietà di un suono, di una chiamata, o il miracolo di un incontro.
La bellezza dell’attesa consiste nello sperimentare tutto come dono. Questo è ciò che il misticismo chiama “grazia”. Molte delle chiese moderne sono prive di immagini. Esse creano spazio all’incontro con Dio, sia per una persona tranquillamente seduta in attesa sia per una comunità che celebra. Molti dipinti moderni sono senza contenuto, superfici vuote, oppure contengono un grande vuoto. La musica contemporanea crea lunghi e intensi momenti di silenzio, il cui senso è la bellezza dell’attesa.
Un grande ostacolo a tale bellezza è la crescente accelerazione del nostro tempo. Oggi, chi si prende il tempo di sostare più di qualche minuto davanti a un’immagine? Il cinema – il genere artistico forse più caratteristico del XX secolo – riunisce in sé i due motivi: la velocità delle immagini e il perseverare. Un film può, nel suo insieme, essere considerato come un’immagine che, per essere riconosciuta come tale, richiede del tempo. A tale riguardo, esso rivela delle analogie con la musica. In questa prospettiva, anche la liturgia può essere considerata come uno sguardo sulla vita.