Amelie Nothomb (Wikimedia Commons)

La mistica senza religione che sceglie Gesù come protagonista del suo nuovo libro

Nadia Terranova

"Sete", l'ultima opera di Amelie Nothomb. Intervista

Il viso coperto da un cappello a falde larghe nuovo nuovo, gli occhi alieni e pieni d’intelligenza, l’amica editrice Daniela Di Sora a fianco: Amélie Nothomb è appena arrivata a Roma per un breve tour legato a Sete, l’ultimo suo libro pubblicato in Italia, come tutti gli altri, dalla casa editrice Voland, tradotto da Isabella Mattazzi. E’ il ventottesimo, ma in realtà, contando gli inediti, il novantatreesimo – Nothomb, che dal suo esordio pubblica un libro l’anno, ha sempre raccontato di aver scritto molto di più di quello che dà agli editori. Non è neppure l’ultimo, perché nel frattempo ne ha scritti altri sei. Belga, poco più che cinquantenne, amata da un pubblico che le è rimasto fedele nel tempo, Amélie è prolifica come Simenon o Camilleri, e si dedica a tempo pieno alla letteratura. Non scrive articoli, non ha nessun social: “Non conosco il net”, mi dice sorridendo, “credo solo nella scrittura, che è essenzialmente un atto fisico”. Non c’è neanche un suo libro che non parli del corpo (il cibo, la magrezza, la carnalità, la violenza, la malattia), dall’esordio con Igiene dell’assassino, il cui protagonista è affetto da un cancro alle cartilagini, alla degradazione della ragazza idealista che va a lavorare in Giappone nell’autobiografico Stupore e tremori. Non c’è quasi suo libro in cui non sia menzionato, anche solo per metafora, l’attraversamento dei cibi e dei liquidi nei nostri tubi digerenti, e quando, qualche mese fa, ho letto Sete, prima ancora di sapere di cosa si trattasse l’ho accolto come l’inevitabile prosieguo del bellissimo Biografia della fame.

 

Non è così in senso letterale, perché la protagonista di Biografia della fame è Amélie e il protagonista di Sete è Gesù, ma entrambi sono gnoseologie di ossessioni fisiche, fra un insaziabile desiderio di riempimento e l’estremizzazione di una privazione. Dunque, è così in senso letterario, perché anche qui c’è la prima persona, che è sempre un travestimento, anche quando si parla di sé, ed è sempre una confessione, anche quando si finge di parlare di altri. Nothomb prende parola incarnando un uomo che sta per diventare Cristo e che, dispiegando la forza di tutte le sue cellule umane, non accetta il sacrificio della crocifissione, vuole dire la sua sul ruolo che è stato chiamato a ricoprire. Per farlo, però, ha bisogno non solo di sentire il proprio corpo ma di estenderne i bisogni, così, quando avverte una grande sete, si accorge di essere sconvenientemente vivo.

 

A proposito della sete, “io consiglio di prolungarla”, dice, “che l’assetato ritardi il momento di bere”. Il Cristo di Amélie somiglia a una delle mistiche della chiesa. E’ lei a usare questa parola per definirsi, quando le chiedo se è cristiana o cattolica: “Sono una mistica senza religione”. Racconta di venire da una famiglia di credenti storici, un suo avo è stato il fondatore del partito cattolico. La sua famiglia come ha preso questo libro? “Alcuni si sono arrabbiati, hanno pensato che l’avessi scritto contro di loro”. Mi scappa di dirle che si scrive sempre contro qualcuno, ma lei diventa molto seria: “Non scriverei mai per un motivo piccolo come fare qualcosa contro qualcuno”. E in generale, come è stato accolto Sete dai suoi lettori di lingua francese? “Qualcuno mi ha attaccata perché nego che il corpo sia un simbolo, per me non è un simbolo, è davvero il corpo di Gesù che subisce la crocifissione, a me interessava questo aspetto”. E in Italia? “Bene, sono qui! Temevo mi avrebbero chiusa nelle segrete del Vaticano”. Ride di una risata bellissima che lascia una lunga eco, e penso che ha davvero qualcosa di mistico questa donna che ritiene possibile scrivere di tutto con candore e rivoluzione. Mi dice di aver amato Teresa D’Avila, di ritenerla una delle letture che le hanno cambiato l’esistenza, e mi ricordo di aver letto, una volta, che ha dichiarato di non aver mai lasciato un libro a metà e di non riuscire a leggere a saltare mai, è ancora così? “Non ricordo di averlo detto, ma sono sempre stata eccessiva in tutto, quando bevo, quando mangio, perché non dovrei esserlo quando leggo?”. Nel libro, il suo Gesù lo dice con chiarezza: “Io ho vissuto così intensamente da morire assetato. Forse è proprio questa la vita eterna”.

Di più su questi argomenti: