In rete Dostoevskij annoia, mentre Melville è ossessionato dai cetacei
Avventurarsi per il mondo grottesco delle recensioni online
Nella raccolta “Who is Mark Twain?” pubblicata da Harper Collins qualche anno fa – in italiano “Il racconto del becchino e altre storie”, Editori Riuniti, 2011 – compare un racconto intitolato “Ogni volta che sto per pubblicare un libro”, in cui lo scrittore americano elenca il tipo di persone cui fa leggere i propri manoscritti prima di decidere se pubblicarli o no. Le tipologie sono svariate, in tutto quattordici. “Ma l’uomo che ha il peso maggiore nel farmi decidere se pubblicare o no – scrive Twain – è l’uomo che si addormenta sempre. Se sta sveglio, il libro è buono”. Fine del dilemma. E beato Mark Twain, perché oggi non va così. Oggi i valori sono capovolti al punto che il lettore più auspicabile è proprio quello letargico: almeno in quel caso si può star certi che non si precipiterà su Amazon a conclamare la sua opinione. A suffragio di questa tesi, ecco una breve antologia portatile (e commentata) del meglio che i giudizi in rete riservano alla crema della letteratura mondiale.
Cominciamo da Fëdor Dostoevskij, “Delitto e castigo”. “Oddio” – scrive un’anonima – appena ho raggiunto pagina 167 di questo libro – sì, dice raggiunto, lasciandoci immaginare che servano preparazione fisica e attrezzatura specifica – ho deciso all’istante di abbandonare. Avevo deciso di leggerlo perché l’ho acquistato in questa edizione e volevo aggiungere un libro di questo colore alla mia collezione – come non capirla, la ragione cromatica è alla base di ogni sana formazione letteraria – incuriosita dalla trama e di voler scoprire questo autore che tanti reputano bravissimo. Avevo già letto Tolstoj, ‘Anna Karenina’, e mi aveva annoiato tutto a parte la vicenda di Anna, e a un certo punto sono andata su Wikipedia a vedere come finiva – ed ecco che il curriculum di slavofila comincia a scricchiolare – e speravo di comprendere il capolavoro che è questo libro. Ma non ci sono riuscita. Ho letto su Wikipedia il finale e mi sono annoiata anche lì. Lo consiglio a chi piace annoiarsi in tutte le descrizioni. Mi servirà tempo per riprendermi da queste 167 pagine”. In bocca al lupo, e chissà che non esistano centri di aiuto che se ne occupino.
Anche i giudizi-telegramma hanno il loro fascino. “Il libro di D. si presenta bene, soprattutto il prezzo. Il problema è il romanzo. Una lettura pesante, anche molto confusionaria”. Nemmeno con “L’idiota” si sprecano tenerezze. “Scritto da Dostoevskij a pezzi durante la sua fuga dai creditori – sentenzia un utente (ma a pezzi in che senso?) – mi sembra che risenta molto di queste premesse. E’ tutto un turbinio di principi, conti, generali, ecc. E cosa può fare una simile società nullafacente? Spettegolare: hai sentito? Questo ha detto quello, quello ha fatto questo. Nel romanzo non c’è vicenda, non succede niente di notevole, solo un susseguirsi di personaggi bizzarri”. Si sarà coricato tranquillamente, e senza coliche di coscienza, anche chi ha sintetizzato con tanta disinvoltura “I fratelli Karamazov”: “Quest’opera ciclopica, le cui dimensioni sono da attribuirsi alla tipica verbosità di Dostoevskij e all’esasperante ripetitività di speculazioni teosofiche, mette a chiare lettere il dietrofront della sua posizione nei riguardi del Dio cristiano, (una cristianità olezza, cupa) irrita chi, da ateo, lo ha seguito fino a questa opera di propaganda religiosa consolandosi col suo magnifico (indubbiamente) prosare. Svenimenti a catena, valore della paupertà, punizione della carne. Pochissimi gli indugi sulle sensazioni se non di malessere. Peccato. Un mito che cade”.
Ma l’effetto grottesco riguarda anche le opinioni favorevoli. A proposito di “Moby Dick”, un lettore di Novate milanese garantisce: “Ben scritto!”. Un altro, invece, è indignato perché, pur essendosi rivolto alla Letteratura, tra le mani si è ritrovato la bieca manualistica firmata Melville. “Vanno benissimo le filosofie di Ismaele, il velo mistico che cala sugli eventi, le superstizioni marinaresche e la straordinarietà di ‘Moby Dick’ – apprezziamo la generosità concessiva – ma il problema è il secondo blocco: un incrocio tra un saggio sulla caccia alle balene, un manuale per il provetto baleniere, un’enciclopedia sui cetacei ironica su tutto”.
Tuttavia, se esistesse un premio, bisognerebbe recapitarlo all’intrepido lettore che scrive: “Libro molto bello, romanzo novecentesco ispirato molto a Joyce. Do solo tre stelle perché spesso ci sono strani neologismi non presenti nel vocabolario e la traduzione è pessima”. Si tratta di “Una vita” di Italo Svevo.