M. Nesterov, Filosofi (Florenskij e Bulgakov), 1917 (foto Wikimedia Commons)

Raffigurare il mistero

Elisa Veronica Zucchi

Le riflessioni dimenticate di Florenskij sulle icone: immagini terrene e manifestazioni divine

L’oblio che a lungo ha avvolto l’opera di Florenskij non le ha impedito di tornare attuale. Pavel A. Florenskij (Evlach 1882 – Leningrado, 8 dicembre 1937) è stato uno dei maggiori pensatori russi: filosofo, teologo, mistico, studioso d’arte, matematico e ingegnere elettrotecnico. Nel 1911 viene ordinato sacerdote della chiesa ortodossa. Fu il curatore del Monastero della Trinità di San Sergio di Radonež, ammaliante lavra considerata “il compimento, il manifestarsi dell’idea russa”. In Florenskij “si sono incontrate e a loro modo unite, la cultura e la chiesa, Atene e Gerusalemme”, scrisse Sergej Nikolaevicč Bulgakov. E’ grande amico dello scrittore e filosofo Andrej Belyj, teorico del simbolismo e figlio di Nikolai V. Bugaev, eminente matematico e suo professore all’Università di Mosca. Apprezza Bach, Mozart, Beethoven, Schubert e Glinka, senza i quali il mondo sarebbe “più scuro”, invece critica l’irrealismo delle opere di Caikovskij e Skrjabin: “Entrambi vivono nell’illusione”.

 

Ma che cos’è effimero per Florenskij? Scrive il “Pascal russo” (così venne definito) ne “La colonna e il fondamento della verità”, saggio oggi considerato un capolavoro non solo del pensiero ortodosso russo, ma anche di quello filosofico-teologico contemporaneo: “Nella vita tutto si agita, tutto vacilla in immagini di miraggio, ma dal profondo dell’anima si innalza la necessità ineluttabile di appoggiarsi alla colonna e fondamento della verità […]. Non di una verità particolare, umana, minuta, che si contorce e poi vola lontano, come polvere spinta verso i monti dal soffio del vento; della verità (in russo ìstina) integra ed eterna nei secoli, una e divina, luminosa e sovraluminosa, di quella veridicità (in russo pravda) che secondo un antico poeta è sole al mondo”. Per Florenskij la luce è il principio creativo e trascendente, il “cuore cherubico” (“nucleo angelico”) delle cose, “perché tutto ciò che si manifesta si manifesta grazie alla luce”: essa mette in contatto il mondo visibile con quello invisibile. Simbolo per eccellenza dell’unione fra i due mondi è l’icona, a cui Florenskij dedica parte sostanziale della propria riflessione. Doppia è quindi l’icona: immagine terrena e manifestazione divina. Non rappresentazione, ma si potrebbe dire “maschera originaria” (peraltro l’intera opera di Florenskij è volta allo smascheramento, alla ricerca di ciò che non si vede): quella maschera che resta, tolte tutte le altre, e che permette al mistero di apparire, di incarnarsi. Non è un caso che il pensatore russo abbia scritto un saggio su Amleto, doppio anch’egli, sospeso fra coscienza morale e spirito del tempo, nel guado fra ”due coscienze, due idee di giustizia. Amleto non ha diritto né può riconoscere una delle due idee come ingiusta; del resto, tutte e due sono inconciliabili per una sola coscienza”. Egli è il simbolo dell’essenza della tragedia. Come l’icona del Cristo è Cristo, così Amleto è la tragedia.

   

Sull’osservazione delle icone russe del XIV, XV e in parte del XVI secolo si apre il saggio “La prospettiva rovesciata” (disponibile in una nuova edizione Adelphi, pp. 152). Scritto nel 1919 – mentre imperversano rivoluzione e guerra civile – il saggio ripercorre le origini e l’evoluzione del metodo prospettico, la cui paternità è attribuita da Vitruvio ad Anassagora (470 a. C. circa), nell’ambito della scenografia teatrale. Il “Leonardo da Vinci russo” (S. Bulgakov, N. Losskij) si infiamma per l’esistenza di un pensiero artistico-strutturato in fuga dalla rigidità della prospettiva lineare, a favore della prospettiva rovesciata che nei disegni i bambini usano spontaneamente. Sua peculiarità è il policentrismo: “Il disegno viene costruito come se l’occhio lo guardasse da diverse angolature, cambiando continuamente posto”. Dunque la visione diviene un atto di sintesi, cioè “sintesi psichica” di molteplici punti di vista. Osserva Florenskij: “Il pensiero infantile non è un pensiero ridotto, ma un particolare tipo di pensiero” che non copia la realtà, ma ne estende il significato. In alcuni casi “nell’infanzia si ha una vista eccezionale”, annota nel gulag delle isole Soloveckie (1936). Viene ucciso per fucilazione l’8 dicembre del 1937, divenendo martire della fede ortodossa sotto il regime stalinista. Pochi mesi prima di morire, scrive: “La vita vola via come un sogno, e non si fa in tempo a far niente prima che ti sfugga l’istante della sua pienezza. Per questo è fondamentale apprendere l’arte del vivere, la più difficile e la più importante delle arti (20 aprile 1937, Solovki. Non dimenticatemi)”.

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