Uno spettro s’aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”. Così recitava, nel 1848, uno degli incipit più celebri della storia. Nello stesso momento in cui veniva pubblicato il Manifesto del Partito comunista, altri milioni di spettri s’aggiravano. Ma per la Cina. Spettri umani, non ideologici, benché ridotti pelle e ossa per il famelico consumo d’oppio. Ai cinesi la droga la vendeva quella stessa borghesia di cui Marx e Engels parlavano nel loro smilzo opuscolo e i cui esponenti infaticabili, ben messi in carne, incrociavano a passeggio per le vie di Londra. Sei anni prima il rampante impero britannico, vincendo la cosiddetta Guerra dell’oppio, aveva estorto al declinante impero cinese con il Trattato di Nanchino l’apertura di cinque porti e la cessione di un’isola scogliosa nel Mar delle Perle. Adesso sì che tutti si mostravano più rilassati, a Londra, bevendo il tè delle cinque: fino a poco tempo prima ogni sorsata angosciava chi avesse a cuore la bilancia commerciale, che pendeva tutta a favore della Cina. Perché, come se non bastasse il tè, le ditte inglesi assecondando la domanda compravano dal Celeste impero porcellane, sete, broccati, tessuti di cotone. Con l’oppio, finalmente, giunse la loro salvezza.
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