Il 3 luglio del 1850, il diamante Koh-i-Nur, la “montagna di luce” che aveva ornato il polso di tutti i sovrani moghul dai tempi di Babur, ma la cui origine rientrava nella mitologia del subcontinente indiano, venne consegnato nelle mani della Regina Vittoria come parte del trattato di Lahore. Pesava circa il doppio degli attuali 108,93 carati, era già stato drasticamente sfaccettato nel tardo Seicento su commissione del sovrano del Deccan Aurangzeb dall’artigiano veneziano Hortensio Borgia, che ne aveva ridotto il peso da 793 a 186 carati e per questo aveva dovuto pagare una somma esorbitante, e nel giro di un anno avrebbe subito un ulteriore intervento da parte del gioielliere ebreo olandese Mozes Coster su commissione del principe Alberto e dei gioiellieri della Corona di Inghilterra, i Garrard, al costo di ottomila sterline, circa quattro milioni di oggi. Per l’occasione era stata costruita una speciale macchina a vapore e l’onore del primo taglio, in condizioni di estrema sicurezza per la pietra, era stato concesso al duca di Wellington, l’eroe di Waterloo e del Mysore allora ottantatreenne, che era giunto al laboratorio a cavallo di un destriero bianco fra ali di folla acclamante: il duca sarebbe morto otto settimane dopo per un ictus avvalorando, se mai ce ne fosse stato bisogno, la fama della letalità della pietra per i suoi possessori di sesso maschile. La pietra, che viene tuttora reclamata dai territori attuali del Punjab, e cioè Pakistan, Afghanistan e India (ci hanno provato anche gli ayatollah, senza ricevere risposta), da allora è stata legata solo per linea femminile e dagli anni Quaranta del Novecento è incastonata nella corona di Elizabeth Bowes-Lyon, la regina madre scomparsa nel 2002. Quel cambio di genere le ha portato una lunga serie di fortune di cui fino a quel momento non aveva assolutamente goduto, ponendola a capofila, fin dagli anni vittoriani, di un clamoroso filone commerciale che comprende o comprendeva strumenti scolastici dagli arcani poteri (“comprate matite a grafite Koh-i-Noor per i vostri esami” si leggeva in una pubblicità degli anni della Grande Esposizione di Londra), cavalli da corsa, accessori per la cura dei capelli (quelli li abbiamo tuttora).
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