la “crisi della presenza”
Lo smarrimento metafisico innescato dalla pandemia: solo un mago può salvarci
I drammi sanitari, economici e sociali causati dal Coronavirus ci stanno facendo perdere la ragione e rifiutare la realtà
Il fatto che il numero dei contagiati da coronavirus abbia ripreso a salire suscita due reazioni assai diverse tra loro. La prima, piuttosto scontata, è una reazione di sconforto unita a un po’ di rabbia; la sensazione cioè che ce la siamo andata a cercare, illudendoci che, finito il lockdown, fosse finita anche la pandemia e che si potesse quindi riprendere la vita di sempre: assembramenti senza indossare la mascherina, feste in spiaggia e in discoteca, vacanze all’estero e via di seguito. Il tutto sotto lo sguardo di un governo e di una opposizione per lo più disperatamente aggrappati alle virtù ontologiche della chiacchiera: se diciamo così, magari la realtà diventa effettivamente quello che diciamo che sia. Ma che succederà quest’autunno? Fatta eccezione per un sistema sanitario nazionale che sembra più attrezzato a fronteggiare il virus, che a sua volta sembra essersi fatto meno virulento (speriamo), non si vedono in giro segnali confortanti. La produzione industriale e i consumi stentano a riprendere; la scuola riprenderà, ma a tutt’oggi, a parte la nuova infornata di insegnanti, siamo più o meno al punto in cui eravamo nel marzo scorso; la cassa integrazione e tutti i vari bonus elargiti dal governo finiranno e il paese rischia di piombare letteralmente nel caos. Ci sono da spendere un mucchio di soldi in arrivo dall’Europa, è vero, ma sapremo spenderli? Dato dunque per certo che non potremo permetterci un nuovo lockdown, quale sarà l’effetto su tutti questi problemi se dovessimo fronteggiare una recrudescenza del virus?
A voler essere razionali, a questo punto si dovrebbe aprire un discorso sulla condizione in cui si trovava il paese già prima che arrivasse il coronavirus, sul suo assetto istituzionale, sulle sue culture politiche, sulla qualità del suo dibattito pubblico, ma non lo si farà. Continueremo imperterriti a vivere dentro la nostra bolla, che però, scossa pericolosamente dal coronavirus, trasforma lo sconforto, ecco la seconda reazione, in qualcosa di più profondo e ancestrale, uno spaesamento metafisico che fa pensare a quella che il grande antropologo Ernesto de Martino chiamava la “crisi della presenza”: qualcosa che entra in gioco ogni volta che la nostra esistenza si trova esposta a minacce incontrollabili, spingendoci inesorabilmente nel “mondo della magia”. Un po’ come il contadino narrato da de Martino che, fatto salire in macchina per la prima volta, viene preso dal panico allorché perde di vista il campanile attorno al quale si era svolta tutta la sua vita, allo stesso modo il coronavirus rompe il nostro ordine abituale, precipitandoci nell’abisso di un’incertezza alla quale non siamo più abituati. All’improvviso scopriamo la nuda precarietà del mondo e delle nostre povere vite. Ma la cosa, alla quale fino a ieri non facevamo caso, vuoi perché rassicurati dalla nostra salute, dal nostro lavoro, dalla nostra ricchezza, dalle previdenze dello stato o dalla fiducia nella medicina, oggi ci è intimamente insopportabile. Si spiegano in questo modo la difficoltà che abbiamo ad accettare che ci si possa ammalare (addirittura morire) senza che qualcuno ne abbia la colpa; il ricorso forsennato agli “esperti”, costringendoli spesso a previsioni che non hanno altra funzione se non quella di confermare ciò che vorremmo sentirci dire; la tendenza a sfruttare il virus per interessi di bottega politica, sia da parte dei partiti di governo che d’opposizione; oppure infine la paura che sembra diventare sempre più padrona nei campi più diversi della vita sociale e individuale. Incrinatasi la “presenza”, siamo tutti proiettati nell’agone della magia. E qui la ragione traballa; potrebbe trarne spunto per crescere in consapevolezza circa la fragilità delle sue basi d’appoggio e quindi diventare più forte, e invece diventa essa stessa una sorta di propellente magico.
Anziché cercare buoni argomenti per districarci nella situazione e scegliere la soluzione che ci sembra più adeguata, prima scegliamo da che parte metterci e poi cerchiamo quali sono i migliori argomenti razionali per sostenerla. Intanto il coronavirus continua a diffondersi e i nostri atavici problemi politici, istituzionali, economici continuano a peggiorare. Scimmiottando Heidegger, si potrebbe dire che ormai solo un mago ci può salvare.
Universalismo individualistico