Il grande Achille. Il luminoso, splendido Achille; Achille simile a un dio. Montagne di epiteti che le nostre labbra non hanno mai pronunciato. Per noi era solo un macellaio”. L’incipit del libro di Pat Barker, Il silenzio delle ragazze, pubblicato da Einaudi Stile Libero nella traduzione di Carla Palmieri, è diventato da qualche anno un esempio di come si possa riscrivere una storia eterna con uno sguardo nuovo ma senza grottesche forzature di significato: non è necessario impoverirla, stravolgerla, cambiare il finale. Basta uno spostamento impercettibile ma titanico, basta capovolgere la prospettiva. Barker non tradisce né travisa le parole omeriche, piuttosto ne aggiunge altre, quelle delle schiave e delle mogli. Provateci: tornate all’Iliade dopo aver letto Il silenzio delle ragazze, che racconta la guerra di Troia con lo sguardo di Briseide, la cui identità è segnata dai suoi proprietari a partire dal nome, per lei infatti Omero usa il patronimico, indicandola come figlia di Briseo, sacerdote di Apollo. Ma Ippodamia, così il suo vero nome, era una principessa, data in sposa al troiano Minete, ucciso da Achille che la volle parte del bottino. Fu poi reclamata da Agamennone, che la chiese in sostituzione di Criseide. Con lei inizia la storia di Omero, con una donna contesa da due uomini. E se fosse stata lei a narrarla?
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