Non è sacrilego dire che i libri dovrebbero copiare i videogiochi
L'evoluzione dei videogame li colloca sullo stesso piano di qualsiasi altra forma d’arte. Buone ragioni per spingere la letteratura fuori dalla sua comfort zone fino alla contaminazione con nuove forme narrative
Da tanto (troppo) tempo aspettavo di giocare a “Red Dead Redemption 2”. Finendolo ho provato un senso di completezza che non sentivo da tempo, una vena malinconica paragonabile a quando si termina l’ultima riga dell’ultima pagina di un libro stupendo. Un delicato equilibrio tra l’appagamento per aver concluso qualcosa di complesso, epico e difficile e la velata tristezza perché il lungo “viaggio” (anche in termini di ore giocate) è terminato. A questo si deve aggiungere il fatto che avendo anche giocato al primo capitolo della serie – che in ordine cronologico si colloca come sequel – sapevo che il lieto fine era solo temporaneo ed effimero e per questo ancora più doloroso e struggente. Nel corso degli anni i videogiochi hanno subìto non solo un’evoluzione tecnica, ma anche – e soprattutto – una crescita di profondità narrativa che li colloca allo stesso piano di qualsiasi altra forma d’arte. Inclusa la letteratura che, salvo rari casi, negli ultimi tempi ristagna in una pozza di non originalità dove è facile stare a galla, ma impossibile far nascere qualcosa che possa rimanere nel tempo. Emozioni blande e monoporzioni vendute a buon mercato e pubblicizzate a dismisura, mentre i videogiochi esplorano territori incontaminati aggiungendo il fatto che chi gioca vive l’immedesimazione fisica con i personaggi ed è più facile provare empatia con i protagonisti.
I libri dovrebbero guardare i videogiochi e copiarli, derubarli della loro libertà. Facendo prodotti di qualità che comportano, tra l’altro, un esborso economico maggiore di un qualsiasi romanzo, eppure le vendite sono in costante crescita. I primi videogiochi avevano una struttura lineare in cui lo scorrere dell’azione era su un binario unico da seguire e la trama di conseguenza veniva scoperta solamente andando dritti verso la fine, tra di loro piccoli gioielli che hanno gettato le basi al nostro presente e che hanno creato una nuova forma di narrativa che riprende vecchi temi e li plasma con il postmodernismo e la cultura pop. Le sottotrame all’interno dei videogiochi non sono così differenti dalle sovrastrutture di David Foster Wallace nelle sue storie, la caratterizzazione dei personaggi, che avviene grazie alle conversazioni, è efficace come nei libri di Elmore Leonard. I protagonisti non sono accomodanti, ma pieni di difetti, demoni da sconfiggere e, come qualsiasi essere umano, compiono azioni giuste e sbagliate. Azioni che possono essere persino perverse, come lo erano quelle che muovevano Mickey Sabbath nel celebre romanzo di Philip Roth. La letteratura dovrebbe fuggire dalla comfort zone in cui sembra essersi seduta, muovendosi all’interno di un perimetro i cui lati sono delineati dal politicamente corretto e dalla quasi totale assenza di voglia di rischiare da parte degli addetti ai lavori.
I romanzi non sono attrattivi come lo era un tempo proprio perché non osano più, come invece fanno i videogiochi. Meglio poche vendite calcolate che un rischioso salto nel vuoto. Quindi è più facile trattare macro tematiche facili da vendere che vivisezionare l’animo umano e tutta la sua fragilità (anche quando si parla di cowboy), crudeltà, sporcizia e imperfezione. Facendoci anche immedesimare con la cosiddetta “parte sbagliata”. D’altronde, se sono nati giochi come GTA è perché Jim Thompson ha scritto "L’assassino che è in me" e "Colpo di spugna", se è stato in grado di emozionare milioni di giocatori è perché ci sono stati romanzi come "La Strada" di Cormac McCarthy e "Io sono leggenda di Richard Matheson" e non vedo l’ora di iniziare il secondo capitolo della saga perché un buon videogioco, come un buon libro, non scade mai. Può migliorare la grafica, come può cambiare il linguaggio, ma Gatsby rimarrà in eterno Gatsby così come Ezio Auditore sarà per sempre Ezio Auditore. E’ arrivato il momento di fare anche il percorso inverso, studiando i videogiochi come se fossero una nuova lingua, uno strumento differente che possa contaminare la letteratura e renderla migliore.
Universalismo individualistico