Le immagini e la storia

A 150 anni da Porta Pia

Le fotografie dello Stato maggiore dell'Esercito e un libro che ricostruisce gli eventi di quel mattino del 20 settembre 1870

Il 20 settembre 1870 i bersaglieri del Regno d’Italia aprivano una breccia nelle mura aureliane all’altezza di Porta Pia. Alle 5.30 del mattino erano iniziati i primi scontri a fuoco e dopo circa 5 ore di cannoneggiamenti, attraverso un varco di pochi metri, l’esercito italiano entrava a Roma. Gli scontri più accesi si svolsero tra Porta Pia e porta Salaria, dove il generale Cadorna, comandante dell'esercito italiano, ordinò a un battaglione di fanteria e a uno di uno di bersaglieri, accompagnati da alcuni carabinieri, di penetrare nella breccia di circa trenta metri, aperta a sinistra della porta. Ma l'assalto non fu necessario perché, di fatto, i difensori non opposero resistenza: verso le dieci, dal campo pontificio fu esposta la bandiera bianca a Porta Pia, che poi fu issata lungo tutta la linea delle mura.

Un giovane ufficiale del regio esercito annotava: “La porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso di mucchi di terra; di materassi fumanti, di berretti di Zuavi, d'armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti". Il nome dell’ufficiale era Edmondo De Amicis e sei anni dopo avrebbe dato alle stampe il fortunato libro Cuore.

Con l’entrata a Roma delle truppe sabaude durante il Risorgimento, i territori dello stato pontificio vennero inglobati in quello italiano. Era la fine, dopo più di mille anni, del potere temporale dei papi e l’inizio di una frattura interna al mondo cattolico, ma anche il momento in cui i diritti politici e civili dell’Italia unita vennero trasferiti nella nuova capitale. Una novità importante anche per gli ebrei romani, come ricorda Shalom, il magazine della comunità ebraica romana: per i cinquemila ebrei della Capitale la breccia di Porta Pia infatti significò la fine del ghetto, istituito nel 1555 da papa Paolo IV. L'anno successivo, con la legge 33 del febbraio 1871, la capitale d'Italia fu trasferita da Firenze a Roma.

 


Pubblichiamo un estratto del volume III della “Storia dell’Artiglieria Italiana” del Gen. C. Montù, Memorie Storiche Militari ed. 1910 e fonti varie

 

A Roma, all’alba del 20 settembre 1870, circa 15.000 soldati pontifici, in massima parte zuavi (volontari quasi tutti di provenienza francese, belga o olandese) erano pronti a fronteggiare le mosse degli assedianti, bersaglieri e fanti del Regio Esercito Italiano che aspettavano da giorni la dichiarazione di resa dello Stato Pontificio. Le trattative furono intense e serrate ma il Papa non intendeva cedere volontariamente.

Falliti gli ultimi tentativi diplomatici, era necessario un atto di forza, forse ritenuto tale da entrambe le parti. Il Generale Cadorna pianificò di attaccare Roma la mattina del 20, conducendo un attacco dimostrativo nei settori di barriera Tre Archi (Porta S. Lorenzo), Porta S. Maria Maggiore e Porta di S. Giovanni in Laterano e un altro sulla destra del Tevere. L’azione principale avrebbe avuto luogo tra le Porte Salaria e Pia impiegano la 11ª e 12 ª Divisione, dopo che la preparazione di artiglieria con “tiro in breccia” a cura delle 5ª, 6ª e 8ª batterie di posizione del 9° reggimento, appartenenti alla brigata del Maggiore Pelloux ed assegnate alla riserva, avesse appunto aperto una breccia nelle mura di Roma. L’inizio dell’azione fu fissato per le 05:15 della mattina del 20 settembre.

Sulla base di tali ordini, la 11ª Divisione alle 4 lasciava gli accampamenti sulla Salaria e assumeva le posizioni. L’11ª e la 12ª batteria del 7° reggimento di artiglieria da campagna si schieravano ad ovest di villa Macciolini la 10ª batteria schierava 4 pezzi nell’orto di villa Celbes e due a Villa Borghese per battere, rispettivamente, Porta Salaria ed il Pincio. La 12ª Divisione alle 03:00 lasciava gli accampamenti di ponte Nomentano e schierava la 1ª, la 2ª e l’8ª batteria del 7° reggimento di artiglieria sul declivio della valle di S. Agnese.

La Brigata di Artiglieria da posizione, armata con bocche da fuoco da 12 cm. Bronzo Rigato – appartenente alla Riserva generale, cui era stato assegnato il compito di aprire la breccia nel muro di cinta a Nord di Porta Pia. – schierava la 6ª (Cap. Castagnola) e l’8ª Batteria (Cap. Rogier) in un pianoro dietro villa Macciolini, a circa 1000 metri di distanza dalle mura mentre la 5ª batteria (Cap. Segre) presso Villa Albani, a circa 500 metri dalla stessa cinta. 

 Nonostante le manovre dimostrative, i pontifici individuarono le tre batterie incaricate di aprire la breccia e non appena queste furono a tiro di fucile (l’ottimo Remington), la 3ª compagnia del 1° battaglione zuavi apri il fuoco per prima, causando alcune perdite tra le fila degli artiglieri. Il Caporale Piazzoli fu colpito in fronte proprio mentre stava puntando il pezzo che avrebbe sparato il primo colpo. Alle 05:10, secondo l’ora di Roma, la 5ª batteria del Cap. Segre sparava il primo colpo. A questi seguirono gli altri e alle 05:45, ben 34 cannoni erano in azione contro le mura: 18 concentravano il fuoco sulla breccia e 16 sulle Porte Pia e Salaria. Successivamente anche i pezzi del 7° reggimento entrarono in azione e così, quel tratto di muro si trovò ad essere battuto dal fuoco di 52 cannoni. Ai Tre Archi le prime cannonate partirono alle 05:15 mentre nel settore di Porta S. Giovanni alle 05:20, a Porta S. Sebastiano alle 06:00, porta S. Pancrazio alle 06:35. 

Tornando a Porta Pia alle 06:40 il muro stava ancora in piedi nonostante i colpi ricevuti. A quel punto si decise di cambiare le modalità di tiro e, nell’intento di creare una maggiore forza d’urto, le batterie del 9° reggimento passarono dalla modalità di tiro per singolo pezzo a quella della salva di batteria. Dopo otto salve uno fragore di detriti in rovina e una densa nube di polvere annunciava che la breccia era aperta. Seguirono minuti di silenzio e quando polvere e fumo si diradarono gli artiglieri constatarono che bisognava abbassare e allargare la breccia per renderla praticabile alle fanterie, ripresero quindi il fuoco per salve di batteria allo scopo di frantumare i massi e scalzare il piede delle mura. 

Alle 08:30 il Maggiore Troussure comunicava “il trituramento alla breccia di Porta Pia è completo ed il varco praticabile all’assalto” il fuoco continuava comunque fino alle 09:45 quando una bandiera tricolore si alzò sulla torretta di Villa Patrizi era il segnale all’artiglieria, per il cessare il fuoco. In poco più di quattro ore il 9° reggimento aveva sparato contro le mura un totale 888 colpi così suddivisi: 330 la 5ª, 294 la 6ª e 264 l’8ª batteria. Alle 10, mentre le truppe italiane prendevano d’assalto la breccia, le forze pontificie issarono bandiera bianca.   

Dopo l’Apertura della Breccia e la Presa della stessa, il dominio temporale dei Papi terminava dopo più di 1000 anni. Senza la protezione francese, Pio IX si rifugiò in Vaticano dichiarandosi prigioniero politico dello Stato italiano. L’Italia trovava così la sua Capitale ma, per contro, nasceva la “questione romana” che sarà sanata solo 59 anni dopo, con i Patti Lateranensi del 1929.

Un giovane Ufficiale del Regio Esercito annotava in quel frangente: «la porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso di mucchi di terra; di materassi fumanti, di berretti di Zuavi, d'armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti», Edmondo De Amicis, che avrebbe poi raggiunto la fama di scrittore con il libro “Cuore”.

Il Cavour prese la decisione di prendere Roma con la forza, atteso che la protezione francese sul papato si era alleggerita per la guerra franco prussiana, dopo che numerosi tentativi diplomatici erano andati a vuoto.  

Invero il Papa Pio IX, non potendo mostrarsi accondiscendente alle intenzioni italiane necessitava di un atto di forza per cedere. Il Papa-Re, prima di lasciarsi invadere dall’esercito italiano aveva tuttavia ordinato di attuare soltanto una difesa simbolica, volendo fortemente evitare inutili spargimenti di sangue. Ordinò quindi al Comandante delle sue forze, il Gen. Kanzler, di iniziare trattative per la resa al primo colpo di cannone con una delicata quanto controversa lettera. Infatti atteso che gli zuavi spararono per primi e ci fu anche un inteso scambio di fucileria, tali disposizioni non furono rispettate e le 5 ore di battaglia causarono comunque perdite che, per il Regio Esercito, ammontarono a 48 morti e 141 feriti, per i pontifici a 20 morti e 55 feriti. Si narra quindi che la lettera del Papa, datata 14 o forse 19, fu poi corretta il 20 o il 21 modificando il testo cambiando la frase “ai primi colpi di cannone” con “appena aperta la breccia”, che già di per sé stona, non potendo sapere in anticipo che si volesse aprire una breccia. Ancora, fu mitigata la frase “a qualunque spargimento di sangue” fu sostituita con “a un grande spargimento di sangue”. 

Probabilmente per senso di responsabilità che non possiamo giudicare, il Pontefice preferì assumersi la responsabilità dei caduti e di tutti i danni alla città conseguenti le 5 ore di fuoco e combattimento.

Un altro aspetto interessante è che, nell’ambito delle iniziative diplomatiche il Papa minacciò la scomunica per chiunque avesse osato attaccato Roma. Una minaccia forte, che in tempi precedenti avrebbe avuto sicuramente effetto sulle forze assedianti, ma nel tardo 1800, in uno stato relativamente moderno, con una monarchia parlamentare, il cui Re era tale per volontà del popolo e non per dono divino, risuonava alquanto vana e non ebbe di fatto alcun effetto tanto più che, per ironia della sorte, se da un lato furono gli zuavi papalini ad aprire il fuoco di fucileria contro la 5ª batteria del Capitano Giacomo Segre, dall’altro a lui nulla importava della scomunica in quanto di fede ebraica e alle 05:10, avendo subito già perdite, apriva il fuoco tirando la prima cannonata. 

Cosi scrisse alla fidanzata: “Ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione, le truppe pontificie fecero resistenza, e si dovette coi cannoni aprire la breccia che fu poi presa d’assalto dalla fanteria e bersaglieri. La mia batteria prese parte all’azione e se ne levò con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente, che morì stamane. Feriti pure un altro caporale che forse non camperà fino a stasera e più leggermente altri quattro cannonieri. Roma è nostra, e domani andrò a visitarla. Fu un talismano che mi preguardò da quel nuvolo di palle che mi fischiavano d’attorno”. 

Infine un altro particolare rileva sulla delicatezza della situazione, secondo il ministro Visconti Venosta, nessuna potenza probabilmente avrebbe difeso il Papa. Tuttavia come scrive Antonio Di Pierro, «L’ultimo giorno del Papa Re. 20 settembre 1870: la breccia di Porta Pia», Mondadori (2007), questa guerra, “doveva essere morbida, non doveva dare occasioni alla comunità cattolica – più di quante non ne offra di per sé un attacco armato al capo supremo della Chiesa – di montare uno scandalo internazionale”. Da qui forse anche la scelta del punto in cui fare la breccia. 

Il settore era stato scelto non solo per l’ampio spazio di manovra che consentiva ad una colonna attaccante ma anche perché una volta entrati in Roma si sarebbe stati in dominio di quota rispetto ai rioni sottostanti. Ovviamente ciò era noto alle truppe pontificie che, a scopo difensivo e per impedire il tiro diretto, avevano predisposto un rilevato in terra visibile in molte foto e stampe d’epoca. Nel punto scelto il terreno era allo stesso livello all’interno ed all’esterno del muro che, peraltro, a tratti era spesso al massimo 80 cm e senza rinforzi. Probabilmente e per le richiamate questioni di opportunità inoltre, avrebbe dovuto essere lontano dalla Città Leonina per azzerare i rischi di danneggiare direttamente beni pontifici. Ancora, un punto dove le mura Aureliane non fossero molto rinforzate e presidiate da forze di difesa, quindi la breccia fu aperta nel tratto di mura che cinge Villa Paolina Bonaparte, all’epoca di proprietà francese, ove non si era provveduto a rinforzarle (pare per il rifiuto dei proprietari), non vi erano schierate forze e non ultimo, non si danneggiava un possedimento pontificio.

Poche settimane prima, all’inizio di quel settembre, si era consumata una battaglia destinata a cambiare gli equilibri politico-diplomatici in Europa per molti anni: la battaglia di Sedan. La Prussia di Bismarck era infatti entrata in guerra contro la Francia di Napoleone III, migliore alleato italiano ma, nello stesso tempo, maggiore protettore del dominio papale su Roma. Dopo l’Austria nel 1866, ora taccava alla Francia capitolare sotto i colpi dell’organizzatissima armata prussiana.

Alla nascita dell’Impero tedesco, tramontava il Secondo impero francese.

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