L’emozione è da poco, dà poco, non basta più. La cerimonia continua, l’ininterrotto vernissage che è diventato la nostra vita, l’ha sfiammata, denuclearizzata. E ci ha incallito il cuore, spento lo sguardo, anestetizzato lo stupore, complicato l’attenzione. Tutto è ricorrenza, evento imperdibile e irripetibile che merita di venire documentato per essere prima condiviso e poi archiviato: il primo giorno di scuola di figli, nipoti, vicini di casa, estranei simpatici, forse anche empatici; il cambio di stagione e quello di scrivania; un intervento chirurgico; una cena di pesce; un incidente domestico per fortuna senza morti; un tramonto. Cerchiamo disperatamente di attirare l’attenzione e di più, di catturarla, tenerla ferma come si fa coi conigli selvatici. Una cosa o è evento o non è. O è epocale o non è. O ti cambia la vita o non è. E così facciamo come certi commercianti che non tolgono mai le insegne natalizie luminose dalle vetrine perché tanto il Natale tornerà presto: rimaniamo vestiti a festa anche in tempo ordinario, di vigilia, di novena, che a sua volta trasformiamo in un tempo di festa. L’abitudine tra noi è l’esaltazione, anche se adesso non la proviamo più, e allora la recitiamo, e speriamo così di rievocarla, rinvenirla. In fondo, ci manca.
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