Provocazione, grottesco, sprezzatura o, in una parola, coraggio, sono scomparsi dalle scene insieme alla possibilità di fumare in sala, ai fischi, al pubblico pagante che rivendica il prezzo del biglietto
C’è un’età per lo scandalo? Ovvero: esiste un’epoca, che per mancanza di visione o ansia di stabilità, fa dello scandalo la propria politica? Ma anche: possiamo dichiarare un’età anagrafica in cui si smetta di scandalizzarsi? In “About Lolita”, uno degli spettacoli presentati in questi giorni alla Biennale Teatro all’Arsenale di Venezia dalla compagnia Biancofango (segnatevi il nome della Lolita: Gaja Masciale, neodiplomata), si cita Thomas Bernhard, quando scrive che a 51 anni si può anche smettere di vivere: nel “Soccombente” in effetti a 51 anni Wertheimer si impicca. Ma Andrea Trapani e Francesco Villano, rispettivamente nei ruoli di un paio di Humbert Humbert possibili, vedono i cinquant’anni come il traguardo della noia, a meno che non intervenga il salvifico desiderio. Come dire: si può smettere di vivere, ma la ricerca del piacere non smette mai. Forse allora a cinquant’anni si smette di scandalizzarsi. Cos’è infatti lo scandalo se non lo scossone al velo della morale con cui incappucciamo il piacere che non abbiamo il coraggio, o la purezza, di concederci? Sono solo alcune delle domande che le mise en scène della Biennale Teatro pongono.
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