Chiacchierata a Pordenonelegge con la scrittrice e attivista polacca, Nobel per la Letteratura 2018. Il lockdown e la nostra inutile fuga dalla fragilità, la percezione del tempo, dei confini da attraversare, del nostro corpo. E la scrittura, come una terapia
Olga Tokarczuk prima e dopo il Nobel per la Letteratura. A marzo dello scorso anno la incontrammo per la prima volta in un classico hotel ‘romano-pariolo’ rimasto fermo agli anni Ottanta, tutto mogano, luci improbabili e tende con orli dorate abbinate alle sedie. Su una di queste, immobile, ci aspettava lei, timidissima, tutta intenta ad osservarci con i suoi occhi grigio-celesti e ad ascoltarci parlare in italiano in attesa della traduzione in polacco. Teneva le spalle avvolte da uno scialle con fiori e colori visti e rivisti fin troppe volte nei sottopiatti turchi - che un tempo prendevamo solo a Istanbul all’insegna dell’originalità, oggi ovunque, Coin e Rinascente comprese. Sigh. Quell’immagine ci è rimasta ben impressa fino a l’altro giorno, quando l’abbiamo incontrata ancora, ma a Pordenone, super ospite della ventunesima edizione di Pordenonelegge, la prima dopo il Covid.
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