Milioni di visualizzazioni su YouTube, ammiratori da tutto il mondo. Non serve esserci nati per scegliere la città partenopea. Basta mettere al centro la musica e vestirsi della sua lingua. Così disincanto ed enfasi hanno reso eterne certe canzoni
Caro Jovanotti, lascia perdere Caruso e Lucio Dalla. Sì, perché le due riscritture del celeberrimo brano, presentate dal cantautore romano quest’estate, sono solo un’eco smorzata dell’originale, che fu la più compiuta parafrasi di una canzone napoletana. Riuscì per caso magico a Lucio Dalla ed è storia nota. Costretto a fermarsi una notte a Sorrento, al Grand Hotel Excelsior Vittoria ebbe la suite dove Enrico Caruso aveva trascorso gli ultimi giorni di vita nel 1921. Fantasticando, fumando e riflettendo nelle sparute ore insonni, Dalla abbozzò le parole e la modesta cellula melodica. Da un testo che ricombina (e scombina) Dicitencello vuje e Te voglio bene assaje, con romantica imprecisione, alle vicende biografiche del grande tenore, sortì la straordinaria operazione alchemica di una canzone che avrebbe scavalcato gli oceani.
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