Roma. Nel 1989 una delle più celebri gallerie d’arte americane, la Corcoran di Washington, cancellò la retrospettiva di Robert Mapplethorpe, il maestro della Nouvelle Vogue fotografica morto di Aids, perché “lesiva della pubblica morale”. Lo fece su pressione di cento senatori e deputati della destra repubblicana, che avevano minacciato di tagliare il bilancio delle Belle Arti. L’incidente aveva evidenziato un fenomeno che da mesi allarmava il mondo artistico: la nascita al Congresso di una reazione culturale per bloccare le opere “degenerate”, come le chiamò il senatore Alfonse D’Amato, e favorire un’arte “moralmente accettabile” (si sentiva l’eco del pubblico disprezzo nazista per Grosz, Kokoschka, Kandinskij, Klee, Chagall, Picasso e altre avanguardie figurative). Livingston Biddle, mecenate e direttore della Fondazione nazionale delle Arti, al New York Times disse che “per la prima volta nei venticinque anni della sua storia, l’ente rischia di trasformarsi in un censore”.
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