Dietro ai novecenteschi baffi, prosa liceale e ovvietà prolisse. Ogni sua metamorfosi appare qui come una svolta arcana e necessaria: tutto è inesorabile, “difficile”, fatale
Negli ultimi mesi, i due più noti storici della letteratura italiana hanno pubblicato un volume monumentale a testa: di Giulio Ferroni si trova in libreria “L’Italia di Dante”, e di Alberto Asor Rosa un Meridiano intitolato “Scritture critiche e d’invenzione”. Da sempre avversari, Ferroni e Asor Rosa alternano i saggi eruditi o apocalittici agli studi in cui cercano di classificare dei fenomeni letterari o sociali via via più sfuggenti. Tutti e due esibiscono dei novecenteschi baffi. Ma quelli di Ferroni fanno pensare a un tricheco buono; quelli di Asor, su un volto che s’immagina truccato come gli attori della sua giovinezza, evocano maschere molieriane. Nonostante i cognomi, Ferroni è il tenero e il metallico è Asor, rosato solo per una floridezza innaturale, che sembra alludere sia al suo vitalismo imbarazzante sia alla sua spietatezza machiavellica. Forse Garboli aveva in mente un ideologo come lui, quando a fine anni 60 ritrasse così Tartufo.
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