La prima volta che ho messo piede alla Sapienza, dove mi sarei laureata, qualcuno mi indicò la targa che commemora Marta Russo, e m’indicò il luogo della sua orribile morte. Il 9 maggio 1997, alle 11.42, Marta Russo, studentessa di Giurisprudenza, sta camminando per la città universitaria con la sua amica Iolanda Ricci. Marta si accascia a terra. Iolanda non capisce cosa sta succedendo. Poi, vede i capelli di Marta tingersi di rosso. Marta va in coma. Pochi giorni dopo, morirà. Le hanno sparato alla testa. Chi l’ha uccisa? Perché? Si può mandare un figlio all’università e non vederlo più tornare a casa? Si può mandare un figlio all’università e venire a sapere che gli hanno sparato in testa?
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE