(foto LaPresse)

Il libro

Uno spettacolo: vedere Feltrinelli dire che il mercato ha sempre ragione

Stefano Cingolani

Alberto Mingardi e il liberismo alla prova di editori non liberisti

D’accordo, i tempi del “Diario del Che” in Bolivia (pubblicato nel 1968) sono finiti, Gian Giacomo Feltrinelli erede di una delle grandi famiglie del capitalismo italiano, finanziatrici di Benito Mussolini, è stato ucciso dal suo folle sogno rivoluzionario che sarebbe meglio chiamare terroristico. Sua moglie Inge e soprattutto suo figlio Carlo autore di un sincero e dolente libro sul padre intitolato “Senior Service” (la marca di sigarette preferita) hanno trasformato la casa editrice in un’impresa con i fiocchi ben radicata nell’establishment culturale italiano, restando inclinata a sinistra. Tuttavia vedere nella collana Universale il saggio di Alberto Mingardi, non è usuale. Il titolo è “L’intelligenza del denaro” e fin qui… Ma il sottotitolo? “Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto” è una affermazione che l’acquirente medio dei volumi Feltrinelli difficilmente si sente di condividere.

 

Il volume è uscito nella sua prima edizione da Marsilio nel 2013 ed è in gran parte dedicato ad analizzare le ragioni della crisi finanziaria (una crisi doppia per l’Italia, nel 2008-2009 e nel 2011-2012) confutando la vulgata allora di successo, cioè il “fallimento del mercato”, un ossimoro per Mingardi , alla testa dell’Istituto Bruno Leoni e da pochi giorni segretario della Mont Pelerin Society (la “Spectre” del neoliberismo mondiale). Ma, al di là della querelle tra economisti, banchieri centrali, politici e tutti coloro che con la mano pubblica vorrebbero correggere gli errori della mano invisibile, il saggio ha molto da dire e insegnare anche a un classico lettore feltrinelliano. Perché al di sotto della scorza economica, è un libro di filosofia.

 

Prendiamo il capitolo 5 intitolato “La crisi ha ucciso il libro mercato?”. Mingardi scrive che la narrazione corrente “è viziata da un’idea di fondo scorretta. Quella per cui il mercato, quest’entità mitologica, questo Dio che ha fallito, sarebbe un gigantesco mobile dell’Ikea, che persone brave e coscienziose montano correttamente affidandosi a un libretto d’istruzioni. Purtroppo, il tempo dei mercati non è quello misurato dall’orologio, e non è uguale per tutti gli investitori. La crisi è un gigantesco processo di correzione.… Una cattiva allocazione delle risorse la cui responsabilità non ricade solo sulle spalle dei manager strapagati delle grandi banche, ma anche su chi ha operato in modo tale da intorbidire i segnali di mercato. Cioè i governi e le banche centrali”. Perché “intorbidire”? Il gioco dello scambio è sempre razionale? No, il mercato nel quale opera una miriade di attori, è continuo apprendimento, non secondo un piano razionale, ma procedendo per prove ed errori. Ecco quel che sfugge per lo più al dibattito corrente. Il mercato ha una “intelligenza collettiva” scrive Mingardi, tuttavia essa non emerge a priori, ma semmai a posteriori.

 

La crisi è un gigantesco laboratorio vivente che opera come la scienza, in base a osservazioni, esperienze, idee e paradigmi che vengono messi in discussione e cambiati nel momento della verifica fattuale. Mingardi ricorda il lavoro del premio Nobel Vernon Smith il quale in laboratorio ha riprodotto mercati finanziari sperimentali, constatando “una certa tendenza all’emersione di bolle. Per bolla s’intendono importanti scostamenti verso l’alto dal valore fondamentale di un asset. Non basta il fatto che quanti partecipano all’esperimento abbiano libero accesso a informazioni circa il valore di un certo bene perché si formino aspettative comuni; affinché le valutazioni dei partecipanti comincino a convergere è più importante ripetere l’esperimento”. Ma se significa perdere salari e posti di lavoro? Mingardi non nega la necessità di affrontare le conseguenze sociali o politiche, rifiuta l’illusione di evitare le crisi, anzi questo diventa l’errore madornale. Qui incontriamo un altro nodo filosofico. E’ quello che Isaiah Berlin definiva “le verità contraddittorie”. L’ineguaglianza è il prezzo della libertà e la dittatura quello dell’uguaglianza? Dilemma irrisolvibile. “Se ai nostri problemi non esiste una sola risposta – scrive Mario Vargas Llosa nel saggio su Berlin – è nostro dovere vivere in costante allerta, mettendo alla prova idee, leggi, valori che reggono il nostro mondo”. Dunque, nessun dogma: tolleranza, pluralismo, “e anche ammettere che la diversità è l’unica garanzia che abbiamo affinché l’errore, quando s’impone, non provochi troppi guai”. Troppo poco? Ma c’è davvero di più?