Scegliere un nome più popolare non guasterebbe. Tanto per andare in parallelo con i libri che (ancora, e siamo sempre meno) leggiamo. Sennò finirà per fare l’effetto del premio per la Fisica o per la Medicina: leggiamo il nome, facciamo l’applauso e ce ne dimentichiamo
Il Nobel 2019 è saltato per via delle molestie (anche i letterati palpano). Nel 2019 i giurati hanno ricuperato il tempo perso assegnando due premi (e relativi cospicui assegni). Uno all’universalmente lodata scrittrice polacca Olga Tokarczuk, l’altro al molto controverso – e non è solo una questione politica, anche la letteratura ha le sue ragioni da far valere – Peter Handke. Sarebbe stato divertente – oltre che istruttivo – assistere alle riunioni pre-Nobel di quest’anno. Il premio non è quasi mai stato una guida per dilettevoli letture (al contrario: cerca scrittori mossi da ideali, che si intendono diversi dal semplice scrivere bene e raccontare belle storie). Le ultime disavventure gli avevano tolto quel po’ di lustro che restava. La morte di Philip Roth aveva levato di mezzo il campione dei romanzieri per cui fare il tifo (gli svedesi, tra l’altro, avevano un’idea bizzarra sulla letteratura americana: “Giovane, si farà, un Nobel sarebbe prematuro”). Serviva un nome che non prestasse il fianco a critiche.
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