Scoprire il Veneto /3
Il tempo delle colline tra Conegliano e Valdobbiadene
Lì dove sorgono i filari buoni per il prosecco è il luogo perfetto per pedalare. A patto di capire i ritmi della collina, che sono lenti e cadenzati, come le osterie lungo la strada. Un viaggio a pedali tra acini e bicchieri
I filari si sono imbionditi e spogliati. L’autunno è una svestizione, il tempo nel quale il dominio del verde che tutto avvolge e tutto copre decade e lascia spazio al resto. Al marron della terra, al giallo del sole estivo appena salutato, al rosso del vino ormai sempre meno comune in queste zone. Eppure gli odori delle cantine riempiono le narici e l’aria sa di vigna, terra e ricordo di mosto praticamente ovunque in questo arco di colline che come una virgola unisce Conegliano a Valdobbiadene come fosse una fune di salvezza lanciata per salvar le viti dal naufragio della pianura.
Alture che anticipano montagne, troppo in ritardo per essere piani, che a sentire chi di lì ci è passato danno il loro meglio di primavera, meglio se tarda, nel loro lussureggiare di entusiasmo e vita che si riscuote, riprende il proscenio, avanza tronfia e magnifica.
Ottobre è un inganno. Tutto sembra stia per finire e invece tutto è un nuovo inizio, una sorpresa e una promessa che diventerà bottiglia o damigiana, i primi caminetti accesi, un calore diverso. Le ore si accorciano, ma si fanno più umane, soprattutto per chi qui pedala.
E lassù, in quell’arco collinare, le biciclette scorrono sempre, in qualsiasi stagione. Veloci, ma meno con l’imbiondire delle foglie, ché nessuna prova costume è alle porte e nessuna corsa nella quale provare a fare il tempo, nella quale tentare di sentirsi, almeno per un giorno una sottospecie di professionista. La bicicletta d’ottobre è più sincera, almeno da queste parte. È in questa stagione che nel muoversi meno veloci i pedali gli occhi riescono a cogliere quello che c’è attorno.
Correre forte ha sempre poco senso. Soprattutto in bicicletta, soprattutto quando le strade valicano e si accostano a colline patrimonio dell’Unesco, lambiscono i vigneti, sfiorano osterie, trattorie, storie e archivi di ricordi.
Tra Conegliano e Valdobbiadene c’è bisogno di calma, di tempo, di trovare una dimensione di tranquillità. Perché la collina è questo, attesa, gustarsi le cose. Sono luoghi "che col sole mezzano ritrovano la pace del tempo pigro, trasformandosi in alture dormienti che tentano la fuga dalla bruma della pianura", scriveva Goffredo Parise. Sono "circhi in ascese e discese e - come gale - / arboscelli vitigni stradine là e qui / affastellate e poi sciorinate / in una soavissima impraticità ah / ah veri sospiri appena accennati eppur più che completi / lietezza ma non troppa / come un vino assaggiato e lasciato - zich - a metà", poetava Andrea Zanzotto.
Tra Conegliano e Valdobbiadene ci sono filari e filari di glera, acini tondi buoni per il Prosecco. Tra Conegliano e Valdobbiadene ci sono strade per ogni gamba, ogni cuore. C’è quella bassa che di dislivello quasi non ce n’è. C’è quella alta, che di più pesa sui polpacci, ma basta non avere fretta.
Anni fa un manipolo di bighelloni iniziò a farsi collina, a imitare il suo tempo: lento e cadenzato. Partivano da Conegliano e piano piano, osteria dopo osteria, finivano planando verso Valdobbiadene. Molti bicchieri di Prosecco, gran chiacchiere, poca fretta, nessun pericolo. Erano quelli tempi di stretta antialcol, di patenti bevute per qualche bicchiere. Erano quelli tempi di svolta, di Prosecco che da vino locale diventava vino di molti e poi di tutti, tutto il mondo. Durò qualche anno, poi sparì con il disperdersi di chi aveva iniziato a pedalare. Eppure quel muovere di pedali tra Conegliano e Valdobbiadene dovrebbe essere ripreso, un meraviglioso viaggio in bicicletta tra le colline. Passo lento, occhi attenti, lo stupore che cresce, che si fa ohhh a vedere filari che chissà come riescono a stare in piedi su pendii scoscesi, quasi verticali, a entrare in calde osterie per dilatare i chilometri, cin cin. Possibilità di allungare o accorciare l’itinerario, scendere verso i castelli, verso la Piave, oltre la Piave, verso i ricordi di un conflitto andato oltre cent’anni fa.
I corridori del Giro d’Italia 2020 non baderanno a tutto questo. Da Conegliano a Valdobbiadene meneranno sui pedali e non si accorgeranno di niente. Peccato. Non si prenda esempio da loro.