Quando Alfred Hitchcock, in un film del 1948, Rope (Nodo alla gola), fa andare su e giù i personaggi in campo lungo da una stanza all’altra nell’infilata delle porte spalancate di un appartamento newyorchese, vuole mettere in atto, per sua stessa dichiarazione, “l’idea un po’ folle di girare un film costituito da un’unica inquadratura”. Lo disse a François Truffaut in un’intervista raccolta in Il cinema secondo Hitchcock, pubblicato in Italia dal Saggiatore. In realtà i piani sequenza sono dieci, ma per la maggior parte danno l’impressione di un’unica ripresa. E questo proprio grazie all’andirivieni degli attori, visti da dietro quando escono dal salotto dove si svolge un party, per dirigersi nell’ingresso o nella successiva sala da pranzo in un tempestoso complicarsi di percezioni e sentimenti. Ecco come un espediente tecnico si mette al servizio di un effetto psicologico. Ed ecco come, per quello stesso effetto psicologico di inquietudine, sospensione, paura, sono decisive le inquadrature di spalle, tutto un ondeggiare di attori in un’andatura fintamente sicura di sé (nel caso dei due giovani protagonisti colpevoli di omicidio e occultamento di cadavere) o innocentemente indaffarata (quando si tratta dell’anziana cameriera ignara di tutto). In certi momenti la schiena di un personaggio finisce con l’occupare per pochi istanti l’intero schermo con effetto di buio totale: il buio della mente capace di concepire misfatti e il buio del mistero in cui sono avvolti gli invitati al party, inconsapevoli di quanto è accaduto in quel medesimo salotto pochi minuti prima del loro arrivo.
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