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Coscienza, fardello, tomba e mistero

Passare Halloween tra le pagine di un romanzo gotico. Quattro titoli da brividi

Giulia Ciarapica

Consigli di lettura, tra titoli classici e contemporanei, per affrontare il mese dei morti

"A volte, ahimè, la coscienza degli uomini si carica di un fardello tanto orribile che riusciamo a liberarcene solo nella tomba. Così l’essenza del crimine rimane avvolta nel mistero": Edgar Allan Poe lo sapeva bene di che cos’è fatta la letteratura gotica, e in queste poche righe lo dice chiaro e tondo. Coscienza, fardello, tomba e mistero: sono questi, grosso modo, gli elementi caratterizzanti di un genere molto spesso sottovalutato ma fortunatamente, oggi, riportato in auge grazie ai lettori, che sui social creano profili e gruppi di lettura dedicati proprio al gotico. E come mai tanto rinnovato interesse? In parte, perché esistono ottime case editrici che fanno un lavoro strepitoso attorno ai grandi classici del gotico, proponendoli in una veste grafica accattivante e soprattutto con contenuti extra che stimolano la curiosità di chi li acquista; e poi, altrettanto sicuramente, occorre fare i conti con la voglia, o forse dovremmo dire l’esigenza, dell’essere umano di comprendere quel che ancora non è riuscito a focalizzare: sé stesso, il proprio passato, l’infanzia e il rapporto con la morte.

 

Se da un lato rincorriamo il bisogno di realtà, confrontandoci sempre più spesso con storie ben allineate alla vita di tutti i giorni, testimonianze di esistenze sbadate, incontrollate e incontrollabili, anche violente, dall’altro ci nascondiamo dietro la scusa dell’intrattenimento offerto dalla letteratura gotica per andare a scovare quelle risposte che collegherebbero – così qualcuno spera – l’aldiqua con l’aldilà. Dunque, l’origine di tutto: dove inizia la morte, e dove finisce la vita? E là dove la vita termina, siamo sicuri che subentri solo la morte, nuda e cruda, senza ulteriore possibilità di futuro per l’anima dell’uomo sulla terra? Il mistero umano non conclude il suo ciclo nella e con la tomba, ed è proprio il non detto, la mancata comunicazione tra vivi e defunti, a far sì che il Male possa continuare a prosperare.

  

Tra i consigli di lettura che vi offriremo per affrontare il mese che arriverà (quello dei morti, s’intende), non mancheranno quindi romanzi e racconti che parlino innanzitutto del disagio umano a tutto tondo, tanto in vita quanto nel passaggio finale, quello della morte.

  

Prima di addentrarci nel terreno narrativo, però, occorre fare una precisazione. La parola “gotico” contiene un’ampia varietà di significati e in passato ne ha avuti anche di più. Viene usata come termine letterario, storico, artistico e architettonico, e proprio nell’ambito letterario al “gotico” viene applicata tutta una serie di accezioni spesso molto diverse fra loro. Gotici possono essere i grandi classici apparsi fra il 1760 e il 1820 (Walpole, Radcliff, Lewis, Maturin, Shelley), così come gotici, in senso più contemporaneo, sono scrittori del calibro di Joyce Carol Oates, John Hawkes e Flannery O’Connor; gotici sono considerati Lovecraft, Blackwood e James, ma lo sono anche Hoffmann e Coleridge, Tarchetti e Capuana; per non parlare poi del cinema e delle serie tv: un’enorme confusione tra Hitchcock, Polanski, fino ad arrivare a qualche prodotto di serie z. Dunque, abbiamo cercato, non senza una qualche difficoltà, di destreggiarci nel bel mezzo di questo calderone per identificare, tra classici e contemporanei, le voci più significative della letteratura gotica.

   

Partiamo subito con un libro tanto interessante nei contenuti quanto bello esteticamente, poiché sposa un progetto grafico curato fin nel più piccolo dettaglio. Sto parlando di “Follettiana”, ovvero “come i piccoli esseri dispettosi (e a volte pericolosi) interagiscono con gli umani”: la casa editrice ABEditore – specializzata in letteratura gotica e affini – inaugura la nuova collana “ombre e creature” prima con “Draculea” (raccolta di testimonianze sui vampiri) e a seguire con un volume dedicato a folletti, goblin, monacielli e faires di vario genere. Un’antologia di quattordici racconti che “riporta in vita” il sottobosco degli esserini magici per eccellenza, tutti quei folletti che hanno popolato fin dalla notte dei tempi l’immaginario popolare incarnando la nostra voglia di meraviglioso e fantastico. Ma in questa raccolta di classici, tra meno noti e inediti, curata da Pietro Guarriello, ci sono perlopiù testi inquietanti che fotografano quei folletti bizzarri, pericolosi o semplicemente dispettosi nati soprattutto in seno al folklore britannico e scozzese. Una chicca che non potrà mancare nei migliori scaffali dedicati al gotico.

   

Così come non può mancare il lussuosissimo volume “Tinte fosche”, ovvero “l’inaspettato ritrovamento di una cartelletta contenente 40 acquerelli di Daniele Serra e 10 racconti di Luigi Capuana, Elia Wilkinson Peattie, Emilio Salgari, Howard Phillips Lovecraft, Charles Dickens, Ugo Igino Tarchetti, Emma Duffin, Edgar Alla Poe, Guy De Maupassant e Ambroce Bierce”. La Caravaggio Editore propone un libro – curato egregiamente da Enrico De Luca – in cui le atmosfere gotiche dei racconti non mancano di essere accompagnate da splendidi acquerelli dalle tinte davvero molto fosche, ispirati chiaramente ai contenuti di ogni storia. A rivelare il filo conduttore di tutta la narrazione – sebbene non vi siano connessioni di trame fra i racconti, ma solo di significato – è Maupassant, che descrive il punto di vista di un pazzo: "Dunque, ci sbagliamo nel giudicare il Noto, e siamo circondati da un ignoto inesplorato. Dunque, tutto è incerto e percepito in maniere diverse. Tutto è falso, tutto è possibile, tutto è dubbioso". Di cosa potrebbe essere capace l’uomo, se solo il corpo possedesse più sensi di quelli che notoriamente usa? Se riuscisse a vedere quel che ad occhio nudo non riesce, se riuscisse a toccare quel che le mani non raggiungono, cosa scoprirebbe? La verità su di sé, forse, ma anche quel che lo aspetta in un futuro prossimo, probabilmente. A cavallo tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento, i racconti di questa antologia pongono il lettore di fronte ad un unico obiettivo: rintracciare l’origine del misfatto, il cuore pulsante della follia umana che, forse, altro non è che una verità in attesa di essere svelata.

  

Manca però fra tutti questi racconti qualcosa che abbia a che fare direttamente con i redivivi, quei vampiri tanto cari alla tradizione di Polidori, Stoker, Le Fanu e Hoffmann. E allora, ecco che Elliot pubblica un volumetto dedicato proprio a loro: “Racconti del vampiro” (traduzioni di Alessandro Ciamberlano, Maria Gallone e Rosa Spaini) s’intitola la raccolta che vede riuniti, fra gli altri, Edgar Allan Poe, Mary Elizabeth Breddon e Phil Robinson. Interessante è lo scenario in cui vengono presentati i vampiri, che sembrano solo lontani parenti del conte Dracula: non è mai il vampiro in sé a far scalpore, con i denti affilati, il viso emaciato e il consueto pallore cadaverico, quanto il messaggio funesto di cui si fa portavoce. Lo spiega bene Francis Marion Crawford nel racconto “Il ghigno mortale”: "Io ho cento anni. Cosa mi ha dato la vita? L’inizio è il fuoco, la fine è un cumulo di cenere. E tra la fine e l’inizio c’è tutto il dolore del mondo". Il vampiro diventa un tramite affinché il “dolore del mondo” fluisca da uomo a uomo, così che il ghigno mortale cui si fa riferimento nel titolo – e che nasce in tutti i personaggi non appena si palesa la presenza del defunto patriarca, morto sorridente e soddisfatto per essersi portato nella tomba un segreto micidiale per chi resta – non è che l’espressione del Male ereditato di padre in figlio. Ancora una volta, è il non detto a generare l’equivoco da cui si propaga l’odore inconfondibile della dipartita.

   

E se poi vogliamo provare ad osservare il male anche da un’altra prospettiva, forse più prettamente femminile, suggeriamo la lettura di “Alfabeto di bambola” di Camilla Grudova (Il Saggiatore, traduzione di Andrea Morstabilini), una raccolta di tredici racconti che si propone d’indagare l’universo del surreale e del grottesco senza rinunciare ad una vena di tagliente ironia. Il viaggio intrapreso dalla Grudova assomiglia molto a quello della Jackson e della Dàvila, che avevano imparato – attingendo dalle esperienze private – a rintracciare l’orrore nella vita quotidiana, senza il bisogno di spingersi troppo nel mondo del soprannaturale. Con la Grudova s’intuisce fin dal primo racconto ("Dopo aver visto che altre donne si erano scucite, era impossibile non imitarle, e presto tutte le donne del vicinato avevano cambiato pelle") che le cucine infestate di parassiti, i corpi deformi e animaleschi, le parti anatomiche mummificate, sono il viatico per comprendere l’indecifrabilità dell’animo umano, costituito da tanti piccoli tasselli che spesso non combaciano fra loro e che alla fine creano un mosaico sbilenco eppure armonioso. La Grudova ha raggruppato i momenti migliori della peggiore insostenibilità della vita terrena.

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