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Se anche la Settimana enigmistica cede al cambiamento

Giacomo Papi

Qualche settimana fa, per la prima volta nella storia, la tragedia: a illustrare il cruciverba di apertura, invece della foto in bianco e nero di un attore, un’attrice o un personaggio televisivo, si stagliava l’autoritratto di Raffaello Sanzio a colori!

Mentre l’America è in bilico e mezza Europa chiude per l’epidemia, un venticello riformista ha cominciato a soffiare tra le immutabili pagine della Settimana enigmistica, l’unico giornale conservatore italiano degno di questo nome. Sono segni minimi, invisibili ai profani ma scandalosi agli occhi degli esperti: piccoli cambiamenti delle norme redazionali, un non so che di sbarazzino che si è insinuato nelle soluzioni e un’apparente diminuzione della cura editoriale, che pure non pare ancora arrivata all’orrore del refuso. All’inizio era un sospetto, poi, qualche settimana fa, per la prima volta nella storia, la tragedia: a illustrare il cruciverba di apertura, invece della foto in bianco e nero di un attore, un’attrice o un personaggio televisivo, si stagliava l’autoritratto di Raffaello Sanzio a colori! Al piede, la spiegazione: il rimando a due pagine centrali, pure a colori, interamente dedicate a “Raffaello Sanzio, l’Urbinate”. Era dal numero 1 del 23 gennaio 1932 che la Settimana enigmistica alternava in copertina le foto in bianco e nero di una femmina e un maschio, senza mai sgarrare. 

 

Non è facile spiegare ai profani la portata di un evento che non esiterei a definire inaudito. Rispetto a quel che accade – all’epidemia, agli attentati islamisti e al vecchio scoreggione ancora in corsa per la presidenza degli Stati Uniti – parrebbe un’inezia. Invece, per gli appassionati, la Settimana enigmistica è il rito inalterabile, l’unico appiglio di fronte allo spaventoso naufragare delle cose, la dimostrazione che l’immobilità e il letargo sono strategie potenti per tenere a bada la paura. Telefonare in redazione per farsi tranquillizzare è impensabile, perché alla Settimana enigmistica tutto è segreto, anche l’ovvio e il banale: non concedono interviste, non si fanno fotografare e non lasciano trapelare. Al confronto del “periodico che vanta innumerevoli tentativi di imitazione”, i servizi segreti italiani, lo Ior e gli algoritmi di Amazon e Facebook sono istituzioni trasparenti. 

 

La storia è pressoché nota, ma sconfina nella leggenda: la Settimana enigmistica fu fondata nel 1932 da Giorgio Sisini, un aristocratico cattolico di Sassari, copiando il giornale di enigmistica austriaco Das Rätsel. Da allora i numeri sono progressivi, cioè non ricominciano ogni anno, continuano, così come i giochi: oggi, per esempio, è uscito il numero 4.624, l’ultimo cruciverba in prima era il 569.034. In 88 anni soltanto due numeri hanno ritardato l’uscita: il 607, pubblicato il 4 settembre 1943, invece del 21 agosto a causa delle bombe, e il 694, che uscì il 14 luglio 1945, invece del 28 aprile a causa della liberazione, chiarendo con molto understatement: “Gli storici avvenimenti delle ultime settimane hanno impedito di pubblicare questo numero con la consueta regolarità”. La redazione si trova da tempo immemorabile al n. 10 di piazza Cinque Giornate a Milano, in un grande edificio conosciuto come Palazzo Vittoria, ma sul citofono non c’è scritto niente. Nel 1995 un leggero restyling ha introdotto la stampa a colori, ma ancora oggi in redazione – così almeno assicurano – si lavora soprattutto con gomme e matite.

 

Il buio regna sovrano anche sulle vendite: l’ultimo avvistamento risale al 2004 quando il Sole24Ore calcolò 1.289.000 copie a settimana. Da allora si sono presumibilmente dimezzate, ma rimangono incomparabili rispetto a ogni altro periodico italiano. Una miniera di ricavi, accresciuti anche grazie alla strategia della completa autosufficienza editoriale perseguita dall’editore e fondatore a partire dagli anni Quaranta, grazie all’acquisizione di una tipografia, di una cartiera e di una fabbrica d’inchiostro, per garantirsi il leggendario nero-pieno delle caselle. Dalla fondazione si sono succeduti soltanto tre direttori: lo stesso Giorgio Sisini fino al 1972, Raoul de Giusti fino al 1988, e l’attuale Francesco Baggi Sisini, nipote del fondatore, un’altra figura avvolta nel mistero. Di lui si sa soltanto che in gioventù a Sassari fu compagno di liceo Luigi Manconi e che oggi è vicepresidente del Museo Diocesano; ha inoltre partecipazioni in Vittoria Assicurazioni e Tamburi Investment Partners e nel marzo scorso – grazie a Berrier Capitals – ha acquisito il 50 per cento di Synopo, azienda di forniture ospedaliere presieduta da Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. Il condirettore è Alessandro Bartezzaghi, fratello di Stefano e figlio di Pietro, detto Piero, il più grande cruciverbista italiano che morì il 9 ottobre 1989 senza che il suo giornale ne desse notizia. In compenso continuò a pubblicare i suoi schemi fino a quando, un anno più tardi, affidò il suo cruciverba al figlio, anteponendo al marchio Bartezzaghi una A. invece della P.

 

Sulla Settimana enigmistica niente deve cambiare. Mai. E infatti niente è cambiato, almeno fino a oggi. La sua funzione, come quella di ogni rito, si basa sulla ripetizione di una formula identica nei secoli dei secoli. Perché è questa la grande tragedia della vita, a pensarci bene, che le cose appena raggiungono un equilibrio e prendono forma, la forma in cui puoi acquietarti, iniziano a cambiare, diventano altro e muoiono. La grande bellezza, la ragione del successo e il vero enigma della Settimana enigmistica sono basate su due fattori: la promessa che per ogni mistero esista una soluzione e il suo ostinato rifiuto della morte e del tempo. Un rifiuto che in questi tempi funesti può calmare, come calma l’immortale epitaffio che dal 1972 campeggia ogni giovedì in ultima pagina: “Periodico fondato e diretto per 41 anni dal Cavaliere del Lavoro Gr. Uff. Dott. Ing. Giorgio Sisini Conte di Sant’Andrea”.