Secondo Live di X Factor. Bravi (quasi) tutti, ma la vera calamita sono i giudici

Simonetta Sciandivasci

Agnelli odioso come al solito, esagerato, inutilmente enfatico; Hell Raton piacevole e mai banale; Mika un buono con gli occhi luciferini; e poi c'è la nostra beniamina, Emma. Esclusi i Manitoba e Eda Marì

È successo a tutte almeno una ventina di volte d’uscire con un tale che era un complesso di noiosità, e parlava come un catechista, o con lo slang di quando era giovane lui, nel 1965, e prima di dire qualsiasi cosa faceva una premessa in cui metteva in salvo tutte le categorie a rischio. Ecco. Una volta di quelle venti è successo anche che ci siamo inspiegabilmente divertite, e quando ce ne siamo rese conto per poco non abbiamo chiamato il dottore per prenotare una risonanza magnetica. Così è X Factor quest’anno: ha tutti o quasi tutti gli elementi per essere un insostenibile festival della prevedibilità, eppure è divertente. Ed è proprio bello seguirlo. Perché? Sarà la quarantena agile? Forse che il coprifuoco mette pepe a tutte le attività serali, che siano un gioco da tavolo, una videochat con nonna Anna, una cena con il vicino di casa immobiliarista, un talent show? Sarà che X Factor ha l’X Factor, e funziona per ragioni insondabili, misteriche. C’è qualcosa nei concorrenti? Sta lì il je ne sais quoi? Forse. Manuel Agnelli ha scelto dei gruppi hardcore, dice che quest’anno vuole fare la rivoluzione (capirai, qua sono vent’anni che i meglio sistemati proclamano rivoluzioni) e ieri sera i suoi amatissimi Little Pieces of Marmelade hanno suonato i Beastie Boys, urlando come al solito loro. E bravi i Melancholia, che hanno suonato Bloodmoney di Poppy, ma a modesto parere di questa rubrica, per l’ennesima volta, sono stati bravi e basta, perfetti, ma poi niente di più.

 

Sono bravi tutti, in verità, questo è il problema, ed è un problema che si perpetra e accresce di anno in anno: c’è un’epidemia di bravi che fa spavento, tutte quelle pubblicità progresso sul farcela, sul tirar fuori il capolavoro che ciascuno si porta dentro, hanno sortito questo effetto. Ma la calamita del programma non sono loro, e nemmeno i pochi tra loro che oltre che bravi bravissimi sono anche (forse) degli artisti. E no. La calamita sono i giudici. Non c’è altra spiegazione. Agnelli è odioso come al solito, esagerato, inutilmente enfatico, mente sapendo di mentire, pensa di stare sulla Rai e quindi dice cose come “vogliamo svegliare la casalinga di Voghera”, pensa che gli italiani siano semi analfabeti e quindi dà riferimenti a caso, fa paralleli insostenibili, dà del Brecht a quella truffa di Naip e del Virginia Woolf alla performance dei Melancholia e dice cose come “Alessandra ha un autotune di sofferenza da sbattere in faccia al mondo” – la sola cosa azzeccata ieri l’ha fatta quando ha rievocato la golden age del rap, e ha approfittato per ricordare che con la sua prima etichetta discografica produsse i Sottotono (ma ve li ricordate i Sottotono? Che bravi erano). Però l’interazione di Agnelli con i suoi colleghi è rispettosa, come tutte le altre, e questa armonia che c’è tra i giudici è la vera novità di questa edizione e sapete che c’è, c’è che è molto più interessante vedere persone che fanno la pace, ché sono anni che vediamo solo persone che fanno la guerra. Tra loro c’è la complicità che c’è tra i congiunti fuori regione: restatene a casa tua, e saremo sani e liberi.

 

È piacevole Hell Raton, anche se fa il gesto del cuore quando parla, anche se dice “spaccate tutto” con un candore da undicenne, anche se sembra faccia il pasticciere e non il discografico. Non fa mai scelte banali, dosa sempre gli ingredienti, s’entusiasma troppo ed è bello da pazzi, di una bellezza da quadro, che non suscita niente di animalesco, e che relax, che benessere. Mika è un buono con gli occhi luciferini, e sa far bene il suo lavoro, quindi ieri ha avuto l’idea geniale di affidare a Naip la cover di Bla Bla Bla di Gigi D’Agostino e nonostante l’antipatia insuperabile che questa rubrica ha per Naip, s’è rivelata una grande idea. Che pezzo, però, Bla Bla Bla, noi lo vorremmo sentire ri-arrangiato da tutti, specie da Casa di Lego, la minorenne coi capelli turchesi che ha fatto piangere Emma.

 

Perché poi c’è Emma, che è la nostra beniamina, e scusate se lo esplicitiamo ma qua nessuno vuol fare giornalismo anglosassone. Emma ha sempre gli occhi lucidi, e quando le scendono le lacrime s’arrabbia per aver ceduto, ma si gode la rottura degli argini, ed esagera, e ingigantisce tutto, e starla ad ascoltare è un piacere, anche perché ha quel suo visetto da iguana e quella sua voce da riot girl che la rendono irresistibile. L’intuizione migliore è stata la sua: ha fatto cantare Madame a Blue Phelix, e così gli ha levato di dosso George Michael, il Muccassassina, il passivaggressivismo dell’expat che è andato a vivere a Londra perché questo paese lo faceva sentire in difetto quando lui circolava vestito di strass.

 

Gli esclusi sono stati i Manitoba perché c’è giustizia a questo mondo e non la puoi passare liscia se riduci “I wanna be sedated” dei Ramones a una canzoncina da picnic e scusate se approfittiamo per dire che i limiti dei due piccioncini erano scritti nel loro abbigliamento, e a nulla è valso il pur meritevole sforzo dei costumisti di far indossare un paio di pantaloni, ieri sera, alla cantante, ché di solito indossa pantaloncini ciclisti sopra o sotto qualsiasi cosa. I Manitoba suonano come vestono e siccome vestono da animatori di feste compleanno, suonano da animatori di feste di compleanno. Anche se loro vorrebbero essere i White Stripes. Ma le intenzioni non contano. Conta ciò che sembra perché è sempre come sembra, e questo ce lo hanno detto l’Amleto e anche Gossip Girl. Esclusa anche Eda Marì, che non era male, ma dura lex sed lex. La tristezza che aveva negli occhi ci ha stretto il cuore. Povera stella, adesso le tocca tornare in Calabria. I Maneskin, ospiti speciali della puntata, hanno portato una canzone veramente molto brutta, che hanno scritto durante il lockdown – eventuale artista che ci leggi, per il prossimo mese, per carità, leggi, panifica, videochiama, innaffia, spolvera, fai sport ma per cortesia metti l’arte da parte, ché la seconda ondata di “l’ho scritto in quarantena” non ce la meritiamo. Candidiamo alla prossima eliminazione CmqMartina. A noi che sia “un progetto” non frega niente, Battisti urla vendetta. Baci.

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.