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Noi e gli dèi

Vanni Santoni

L’ultimo libro di Calasso si lega ai precedenti a creare un’unica, grande opera di ricerca della nostra identità

    Da un po’ di tempo alcuni libri di Roberto Calasso, che noi devoti facciamo in modo di possedere il giorno stesso dell’uscita, riportano in bandella una nota. Ecco come si presenta nell’ultimo, “La Tavoletta dei Destini”, appena approdato in libreria (e nelle biblioteche dei devoti), ovviamente per Adelphi: “’La Tavoletta dei Destini’ è l’undicesima parte dell’opera avviata nel 1983 con ‘La rovina di Kasch’ e proseguita con ‘Le nozze di Cadmo e Armonia’ (1988), ’Ka’ (1996), ‘K.’ (2002), ‘Il rosa Tiepolo’ (2006), ‘La folie Baudelaire’ (2008), ‘L’ardore’ (2010), ‘Il Cacciatore Celeste’ (2016), ‘L’innominabile attuale’ (2017) e ‘Il libro di tutti i libri’ (2019). Le stesse parole, con “undicesima” sostituito da “decima”, si leggevano ne “Il libro di tutti i libri”, e così via. Non credo vi sia dietro la semplice volontà di tracciare una linea netta tra la produzione più romanzesca e quella saggistica – anche perché molti dei titoli succitati vanno a collocarsi in dimensioni quantomeno liminali e più spesso ibride –, bensì la volontà di sottolineare come questi finora undici libri formino un’unica opera. 

      
    Io, che diventai calassiano devoto nel 1988, a soli dieci anni, di questa nota non ne ho mai sentito il bisogno. Nel mio caso tutto avvenne quando nell’altrimenti apollinea biblioteca di mio padre, ingegnere, per il quale le incursioni nella letteratura contemporanea si fermavano a Eco e Calvino, o al massimo a Borges, giunse come un turbinìo di baccanti “Le nozze di Cadmo e Armonia”. Avendo una discreta confidenza col mito greco non mi feci intimidire dal fatto che fosse un libro “da grandi” e lo affrontai con delizia. Per fortuna, il più complesso (ma solo per la minor confidenza che abbiamo con la mitologia indiana: oggi che la conosco, lo trovo più lineare del predecessore) “Ka” arrivò otto anni più tardi, quando ero maggiorenne. Ma già allora, e anni prima di recuperare “La rovina di Kasch”, mi era chiaro che il lavoro che Calasso stava facendo col mito e la mitologia (dei popoli umani, nonché dell’unico umano in grado di forgiarne una da solo: Franz Kafka, raccontanto in “K.”) non si limitava ad avere un fil rouge: era qualcosa di unitario, anche quando arrivavano a proseguirlo i testi più atipici. 

     
    “La Tavoletta dei Destini”, in cui Calasso va a scavare per noi nel mito sumero e quindi nei testi più antichi esistenti al mondo, potrebbe essere uno di essi: è relativamente breve – 146 pagine, laddove “Le nozze di Cadmo e Armonia” o “Ka”, ma anche il recente “Il libro di tutti i libri”, dedicato al mito ebraico e quindi biblico, superano le 500, ma è del resto differente la quantità di fonti disponibile – e soprattutto, pur mantenendo il classico impianto mitografico calassiano, è un romanzo puro, dato che comincia con una soluzione narrativa particolare: l’arrivo del marinaio Sinbad, che come ben sappiamo giunge dal mito persiano e dalle “Mille e una notte” (e anzi fu un’aggiunta tardiva pure lì), a un’isola dove vive un certo Utnapishtim. Un eroe – le sue gesta sono narrate nell’epopea di Gilgamesh – che gli racconterà come sono andate le cose tra gli dèi e gli uomini. In Mesopotamia, almeno. Scopriamo allora qualcosa di molto interessante: gli uomini furono creati così che potessero farsi carico della fatica degli dèi, e questi potessero finalmente riposare (e magari spassarsela pure, come sovente avviene tra gli dèi greci de “Le nozze di Cadmo e Armonia” o tra quelli vedici di “Ka”). 

     
    Veniamo a conoscenza anche del nome del primo scrittore al mondo – non mitologico, ma assolutamente reale –, che è poi una scrittrice, la principessa e sacerdotessa Enheduanna, figlia del gran re Sargon, che per prima ci raccontò come i me, i poteri,  potevano andare dallo scendere agli inferi all’uso degli organi sessuali, dalla lavorazione del legno all’accensione dei fuochi, dalla scrittura al canto, fino alla menzogna, alla vittoria, alla prosperità, ma anche alla conoscenza dell’abito nero e dell’abito variegato o alla capacità di annodare o sciogliere la crocchia dei capelli.

     
    Così, anche da una fonte limitata quanto possono essere poche tavolette d’argilla (su cui, spostandosi nel mito, ne spicca una, quella dei Destini, precedente agli stessi dèi), Calasso, traendo e accostando con la consueta sapienza gli elementi più succulenti come quelli più “risonanti”, dà forma a un altro mattone – il materiale del resto è sempre quello: l’argilla – del suo magnum opus, che finirà per dirci (da devoto di primo pelo comincio ad avere quest’impressione) chi siamo noi, prima ancora che gli dèi.