Le sette statue esistenti non bastavano. La città innalza l’ottavo monumento al suo nume tutelare, importante quanto Santa Rosalia. I sogni, mai raccontati, di Jorge Luis Borges e Gesualdo Bufalino
La notizia è racchiusa in un trafiletto a due colonne in cronaca: Domenico Pellegrino, uno scultore di fantastico ingegno, sta per elevare, nella città “regia e conventuale” del Gattopardo, un altro monumento al Genio di Palermo. L’ottavo. Non bastavano sette statue già disseminate tra piazza della Rivoluzione e Villa Giulia, tra l’ingresso del Porto e Palazzo Pretorio, fino alla Fontana del Garraffo, dietro piazza della Vucciria. L’infelicissima Palermo ha ancora bisogno di coltivare l’illusione che prima o poi arrivi un dio capace di riportare la città – con i suoi palazzi, le sue strade, le sue chiese – allo splendore del secolo d’oro, quando i normanni regalarono al mondo non solo i mosaici della Cappella Palatina ma anche il Castello della Zisa, costruito al centro di un parco che si estendeva dalle montagne della Conca d’Oro fino al Palazzo Reale, con il semplice scopo di regalare al re alla sua corte un momento di frescura nei giorni selvaggi dello scirocco. Gli architetti arabi lo avevano indirizzato verso nord ovest, per cogliere ogni filo di brezza marina e inumidirlo con un gioco di acque e vapori. Lo chiamarono Al Aziz, lo Splendido, e lo circondarono con un giardino lussureggiante: un Genoardo, che per certe ascendenze islamiche era i il giardino delle delizie ed equivaleva al “paradiso della terra”.
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