"Mi lasci ’sta roba in portineria” disse scontroso Giorgio Manganelli nel telefono a una Romana Petri sui vent’anni che aveva osato cercare il suo numero in elenco (allora funzionava così, erano i primi anni Ottanta) per chiedergli di leggere certi racconti che aveva scritto. “Mi lasci ’sta roba in portineria”: immagino esattamente il tono fra lo scocciato e l’imbarazzato, la voce indimenticabile con la erre moscia, quel buttar fuori la frase come un colpo di tosse. Quante volte l’ha usato anche con me quel tono, che non capivi se ti prendeva in giro o proprio ti voleva vedere morta perché lo stavi tremendamente ammorbando. E’ stata un’emozione grandissima, lo ammetto, ritrovarlo tale e quale nelle pagine di un libro che a occhio gli sarebbe piaciuto parecchio, anche se si permette la Lesa Maestà di ispirarsi a lui: “Cuore di furia”, della suddetta Romana Petri, uscito ora da Marsilio (152 pagine, 16 euro). Tale e quale: il corpo goffo, “pingue e dissestato”, quel modo di camminare “col busto inclinato in avanti e le braccia incrociate dietro la schiena”, uno che “gli si scontravano dentro” ilarità e tragedia “perché gli erano toccati quei due contrari tanto litigiosi”. Uno che un giorno se ne scappò da Milano in Lambretta, o forse era una Vespa (che differenza c’è fra una Vespa e una Lambretta?) mollando tutto, ma proprio tutto per trasferirsi a Roma. Ma che dico trasferirisi, per fuggirsene da un matrimonio disgraziato, da una paternità per lui invivibile, soprattutto da un amore folle, nel vero senso della parola, per una giovanissima Alda Merini già poeta e già fuori di testa. Si erano conosciuti che lei aveva diciassette anni e lui ventisei. A un certo punto lui – trentunenne – salì sulla famosa lambretta e faticosamente arrivò a Roma. Senza bagaglio. Senza casa. Senza niente. Rompendo i ponti con l’università dove insegnava, con la famiglia, con quella donna impossibile – la Merini, che un giorno aveva fermato per strada la Fausta, legittima moglie di Giorgio, apostrofandola: “Signora, lo sa che mi sono innamorata di suo marito?” e l’altra, senza fare una grinza: “Ma se lo prenda, benedetta, se lo prenda”. Così almeno racconta la figlia Lietta in un delizioso racconto biografico per parole e immagini, “Album fotografico di Giorgio Manganelli”, edito da Quodlibet una decina d’anni fa. Dice anche che a convincere Giorgio, o meglio il Manga, perché così era preferibilmente chiamato dagli amici, fu un altro fatto: che un giorno uno zio spazzino della Alda, lo inseguì per Milano minacciandolo con la scopa. Comunque sia, quel mitico viaggio basterebbe alla sua leggenda. Lietta Manganelli parla di “Vespa” e aggiunge una data esatta, il 15 giugno 1953, per quel rocambolesco trasferimento.
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