Per me è sempre stato el gordito, il ciccione, non il santo dei poveri di strada e di campetto, il dio del calcio, lo strafenomeno dell’allegria e del maledettismo, ma il tracagnotto che dribblava e segnava, anche con la mano se necessario, inseguito dai fantasmi della miseria, del patriottismo napoletano, dell’internazionale castrista, della cocaina, del sesso senza precauzioni, della colpa e del peccato sublimati nella vida loca, infine e in prima battuta dallo spettro ritornante della pancetta, della metamorfosi bulimica, dell’obesità a prova di dieta, dell’eccesso divoratore. Teoricamente il calcio sarebbe uno sport, una cosa sana. Lui era un idolo in carne, con poca ossatura anche quando era quello che si dice un falsomagro, e diventò un eroe romantico a contatto con Napoli, che sempre gli è rimasta in scia dovunque andasse e qualunque pazzia facesse.
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