Porte chiuse alla Scala, niente mondanità (ma Milano e la moda ci sono), la platea inghiottita dal palcoscenico. E una parata di stelle del canto per uno spettacolo che vuole lasciarsi alle spalle la pandemia. Questa sera in tv, qui raccontato in anteprima
"Ian-tan-tan-tararaaa”. Sono le otto di venerdì sera, 4 dicembre, e siamo sedute, uniche spettatrici in un luogo progettato per ospitarne duemilatrenta, nel Palco degli Specchi in cui si riflette un Teatro alla Scala ipertrofico, un theatron che da osservato si è fatto osservatore di se stesso, annullando ogni altra figura e spazio: la buca dell’orchestra e la platea sono state letteralmente inghiottite dal palcoscenico, che si è proteso fino all’ingresso centrale come un’immensa colata di lava nera. Spiccano negli angoli, libere dalla poderosa struttura a doghe di legno dipinto, le poltroncine laterali che di solito sono le più scomode, ma che adesso rassicurano contro un effetto di straniamento che l’occhio, impigrito dalla lunga consuetudine a prospettive diverse, stenta un po’ ad afferrare. L’orchestra è stata montata al centro della sala, diremmo sopra le file M e N: al momento è vuota. Contiamo pochi elementi, gli indispensabili per accompagnare il canto di solisti e di uno spettacolo che, per rispondere a molte esigenze senza rinunciare a se stesso, si è fatto cinematografico e ne rispetta tutte le caratteristiche. Le “situazioni” sceniche sono già pronte per le riprese; i diversi piani narrativi con i loro movimenti di scena già calcolati; qui passerà il carrello; ecco il vagone sul quale si è appena esibita con il “don fatale” della sua sensualità Elina Garanca, intrigantissima Eboli del “Don Carlo” in abito in rosa fresia di Valentino ricamato in rosa e argento degradé su cui ci soffermeremo a lungo perché la moda è diventata elemento centrale, in questa “Prima della Scala” esclusivamente televisiva, fatta di grandeur popolare ma anche di dettagli, di simboli e metafore attorno alla pandemia e alla volontà di lasciarsela alle spalle, di “Riveder le stelle”. Il palcoscenico che, come Crono, ha assorbito ogni elemento temporale, ha inghiottito infatti anche la mondanità che fino all’anno scorso arricchiva, talvolta perfino sostituiva, la narrazione dell’opera e la sua rappresentazione.
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