Il 2020 ci ha costretto a diventare tutti filosofi morali. Ci si alza al mattino, ed eccoci subito davanti a una di quelle domande che prima si nascondevano sotto il tappeto della vita quotidiana, o si esaurivano in convegni sull’unde malum nei quali i relatori disquisivano sull’Angoscia col compiacimento dottrinario di chi dorme benissimo. Una domanda assillante riguarda la responsabilità verso il prossimo, in senso letterale; ma ce n’è un’altra che è la sua ombra minacciosa, e investe il caso o il Fato. Si stenta infatti a connettere i comportamenti considerati innocui con le loro conseguenze potenzialmente atroci. Poi, come è umano, subentra l’assuefazione. Quanto resistono le precauzioni emergenziali alla resistenza “emergenziale” delle vecchie abitudini? Finché si resta sul piano dei rapporti che s’intrattengono pubblicamente, in società, le domande si possono lasciare a una certa distanza (distanza sociale, appunto). Più complicato farlo quando si entra nell’intimità della famiglia, magari sotto le feste. Sentirsi al sicuro a casa, sentire che gli altri lo sono, abbassare la mascherina tornando da un viaggio in cui la si è tenuta a lungo all’aperto dove le possibilità di contrarre il virus sono molto minori… tutto questo è irrazionale e normalissimo.
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