C’è un paese, Vallescura, ai piedi di montagne che chiudono e separano, difendono e condannano, isolano e amplificano. E c’è una comunità rinata dopo l’epidemia sterminatrice di un secolo prima, della cui rinascita si è autoproclamata custode una donna, Saretta, assumendo una postura ringhiosa e missionaria: con ogni atomo del suo corpo – cento chili, a dispetto del nome – ha giurato di proteggere luoghi e abitanti dalla possibilità che il disastro possa riaccadere. Ma la peste, ci avverte Loredana Lipperini, autrice di uno dei romanzi più sorprendenti e intensi di questo 2020, “fa parte della nostra storia e, per quanto cambi il mondo, difficilmente mutano le nostre reazioni”: oggi come ieri, al primo avviso di epidemia, si cerca il colpevole. Chi ha portato la malattia deve essere individuato, additato, annientato, solo così la comunità potrà sentire un ristoro alla propria febbre: è più che un automatismo, è un esorcismo necessario, poco importa che nelle malattie non ci sia colpa, una colpa va trovata. L’untore viene deciso secondo criteri precisi, accordati a schemi classici: “Il paese che espelle o distrugge chi non lo rende omogeneo, presentabile, quieto. I matti, gli ubriaconi, i tossici. Se ne vanno o crepano, quel che conta è mostrarsi uniti, festeggiare l’autunno con la castagnata e il vino rosso, ammirare tutti insieme le luminarie di Natale, partecipare – tutti, mi raccomando – al presepe vivente, cucinare per la cena estiva. Una due, dieci cene estive fino a spaccarsi il cuore di cibo”.
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