Il filosofo tedesco sulla secolarizzazione in occidente: "Per la prima volta, la religione è privata, senza mandato né dimensioni comunitaria"
Peter Sloterdijk e Jürgen Habermas sono i due grandi nomi della filosofia tedesca contemporanea e non potrebbero essere più distanti. Il primo ha decretato la morte dell’umanesimo, il secondo si è dedicato alla rinascita di un neoilluminismo. Una distanza che esplose quando Sloterdijk, nella sua celebre conferenza sulle “regole per il parco umano”, perorò l’uso della genetica per migliorare la specie e Habermas lo accusò di nazismo. Ora i due si dividono sulla religione. Nel suo ultimo lavoro di 1.700 pagine, “Auch eine Geschichte der Philosophie”, Habermas ha avvertito che “il nucleo rituale gioca un ruolo importante, se non decisivo, per la sopravvivenza della religione”. Habermas ritiene che la religione abbia possibilità di sopravvivere solo fintanto che “si pratica il rito di culto della comunità”. “La modernità laica si è allontanata dal trascendente per delle buone ragioni, ma la ragione svanirebbe con la scomparsa di ogni pensiero che trascende ciò che esiste nel mondo nel suo insieme”, scrive l’ultimo dei francofortesi. Sloterdijk sostiene che la religione organizzata è morta in occidente. “Un nuovo teologo aleggia sulla scena politicizzata: la stampa. Il paradiso è arrivato nelle edicole”. E’ uno dei tanti aforismi (questo di hegeliana memoria) presenti in “Den Himmel zum Sprechen bringen: Elemente der Theopoesie”, il nuovo libro del filosofo di Karlsruhe, l’esponente della “cultura Suhrkamp”, protagonista di tanti feroci feuilleton culturali.
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