C’è un dettaglio che non è un dettaglio, nascosto in una delle scene cinematografiche più celebri al mondo. Il film è “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman. Squassati da brividi di esultanza estetica, ripercorriamo il poderoso incipit di questo capolavoro: un cielo scuro gravido di foschia e nuvoloni da cui filtrano oblique proiezioni solari; un’aquila, immobile nell’aria, che in un silenzio impressionante contrasta il vento; poi una spiaggia di sassi, il profilo scuro di un versante che si getta nell’acqua e due cavalli che si abbeverano lungo la battigia sassosa. Il cavaliere Antonius Block – per tutti noi, Max Von Sydow – sta tornando a casa dopo una crociata in Terra Santa ed è sdraiato sulla spiaggia, sguardo perso e mano posata sull’elsa della spada. Jöns, il suo scudiero, giace poco lontano sprofondato nel sonno, supino a terra, braccia aperte e gambe di divaricate. Intorno ai due imperversano la peste, i più tremendi flagelli e gli arcinoti, tetri scenari. A un certo punto il cavaliere si alza e, con l’andatura ammaccata da giorni di sballottolìo lombosacrale, entra in acqua per rinfrescarsi. Poi si inginocchia a pregare. Quand’ecco che, immobile nella sua torva maestà, gli appare la Morte. Indossa una tunica che non lascia intuire alcuna conformazione fisica ed è avvolta in un mantello nero che la rende un essere minacciosamente ibrido. Ha il volto beffardo, infarinato di biacca, il naso aquilino e le labbra sottili. Una specie di clown raggelante. La Morte allunga il braccio destro. L’ala nera del suo mantello garrisce scossa dal vento: sta chiamando a sé il cavaliere. “Dammi ancora del tempo”, la implora il crociato. “Tutti lo vorrebbero”, incalza la Morte. “Tu giochi a scacchi, non è vero? L’ho visto nei quadri, lo dicono le leggende”. La Morte mette i puntini sulle i: “E non ho mai perduto un gioco”. Il cavaliere la sfida e chiede una partita, ma a un patto: fino al termine, la Morte non lo colpirà. La Morte accetta. I due si siedono l’uno di fronte all’altra mentre il mare ruggisce torvamente. Tra i loro volti, ripresi di profilo, stuoli di nuvole tagliate dai fendenti di una luce da finimondo. A questo punto la scena sfuma sui due giocatori che dispongono i pezzi sulla scacchiera.
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