La crisi aggravata dalla pandemia e la perdita di posti di lavoro e il sovranismo e la depressione e la tentazione di muri e di frontiere e la Brexit e gli sbarchi degli immigrati e l’Ungheria e la Polonia (intese come “i governi dell’Ungheria e della Polonia”) e ora pure la Slovenia e lo scollamento delle élite dalla realtà e gli hacker di Putin che diffondono disinformatia digitale e la gente che balla mentre altra gente fa la fame e forse anche la gente che balla presto farà la fame e anzi forse sta già ballando a stomaco vuoto. Sarà per questo che leggendo “Europa 33” di Georges Simenon (Adelphi, 378 pagine, 18 euro, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella), una raccolta di reportage con cui lo scrittore belga raccontò ai lettori di Voilà e di altri periodici francesi le sue impressioni di viaggiatore proprio nell’anno in cui Adolf Hitler divenne cancelliere, il secondo pensiero che ci attraversa è: “Oddio, quante somiglianze tra l’Europa di allora e quella di oggi”. (Il primo pensiero è invece: Simenon, romanziere formidabile, anche sui giornali aveva una scrittura capace di sfolgorare ancora 88 anni dopo. Maledetto!).
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