Chi era il gigante Carmelo Bene nel suo quotidiano, fra le mura domestiche? Si potrebbe rispondere: un giocatore che recita, imitandola, la commedia della vita. “Si dichiarava eremita”, ci rivela Luisa Viglietti in “Cominciò che era finita. Gli ultimi anni di Carmelo Bene” (prefazione di Goffredo Fofi, Ed. Dell’Asino, dicembre 2020). Luisa Viglietti, sua compagna per otto anni, nonché costumista – i due si erano incontrati nel 1994, per l’allestimento di “Hamlet Suite” – ci racconta poi che il Topone (così l’aveva soprannominato) non si alzava mai prima di mezzogiorno, era ossessionato dai dettagli, amava Velázquez, era riluttante alle passeggiate (d’altronde, motivava, “Nietzsche dopo la passeggiata è impazzito”), leggeva a lume di candela, aveva un rapporto complesso con gli infanti e nelle sue case di Roma e di Otranto cucinava cene pantagrueliche per gli amici – M. Grande, C. Dumoulié, P. Giacchè (per citarne alcuni) – lussureggiando fra “tubettoni al ragù di carne” conditi con “tonnellate di parmigiano” e chili di cernie e crostacei.
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