Nel suo “Let the Sun Beheaded Be” Il fotografo Gregory Halpern onora tutti i dogmi del pol. corr. e lo fa con i tempi giusti, cavalcando lo spirito dei tempi. Eppure il suo talento è tale che riesce a toccare corde ben più profonde e destabilizzanti
Gregory Halpern è uno di quei fotografi da tenere d’occhio. Ne sentiremo parlare molto. Le sue immagini e i suoi libri hanno una marcia in più. Hanno un’energia e una vitalità che raramente si trovano nei suoi coetanei (è nato a Buffalo nel 1977). Pubblica per i più importanti editori di fotografia, nel 2014 ha ottenuto la Guggenheim Fellowship, nel 2016 il suo “Zzyzx” ha vinto il premio come miglior libro dell’anno al Paris Photo-Aperture PhotoBook Award. Dal 2018 è Nominee Member di Magnum Photo. Il suo ultimo libro, “Let the Sun Beheaded Be” (Aperture, 2020), è un viaggio a Guadalupa, l’isola caraibica, territorio d’oltremare francese, che sulla mappa ha la forma di una farfalla. Halpern fotografa un presente che affonda le sue radici in un penoso passato coloniale e schiavista. Il lavoro, con un’introduzione di Clément Chéroux, curatore del dipartimento di Fotografia del Moma di New York, è stato presentato nei mesi scorsi, come mostra, alla Fondazione Henri Cartier-Bresson di Parigi.
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