Nel febbraio del 1797, il giovane comandante in capo dell’armata francese in Italia, Napoleone Bonaparte, passò a cavallo con i suoi soldati sotto le finestre del municipio di Recanati, reduce dalla conquista di Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Macerata e Tolentino. A Loreto, le sue truppe si erano impossessate dell’immenso tesoro votivo del santuario mariano per spedirlo a Parigi, così come era accaduto ai beni dei Monti di pietà e delle chiese delle città sottomesse dai transalpini – o liberate da borbonici e papalini, a seconda dei punti di vista. Il ventunenne conte Monaldo Leopardi, amministratore di Recanati, decise di non affacciarsi al passaggio del generale, che neppure aveva risposto all’invito a pranzo fattogli recapitare qualche giorno prima. Preoccupato per l’incolumità della città e desideroso di dimostrarne la neutralità, il giovane conte aveva procurato pane in abbondanza per le truppe francesi, ricoveri adeguati per gli ufficiali, perfino una lussuosa carrozza pretesa da uno dei comandanti, rimettendoci del suo. Lo sgarbo ricevuto finì per disgustarlo: “Io non lo vidi perché, quantunque stassi (sic) sul suo passaggio nel Palazzo comunale, non volli affacciarmi alla fenestra giudicando non doversi a quel tristo l’onore che un galantuomo si alzasse per vederlo”. Così, nella sua autobiografia, il conte Monaldo rivendicava, trent’anni dopo, un dispetto di cui il futuro imperatore non seppe mai nulla.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE