Nella viuzza del villaggio ungherese dove è vissuta fino al 1944 “c’era chi la salutava e chi no”. Quel villaggio, nel suo ultimo libro che s’intitola “Il pane perduto” (La nave di Teseo), lei lo riassume nel nome della piccola via, Sei Case in italiano, lingua scelta per scrivere fra le tante che conosce, nella frazione di Tiszabercel dove è nata nel 1931. Lei è Edith Bruck, scrittrice che della verità ha fatto una bandiera, la verità terribile della Shoah soprattutto. E quindi ci tiene a quel “1931” perché, non si sa come mai, in rete hanno scritto 1932, e tutti le tolgono sempre un anno. Invece fra poco, in maggio, ne compirà novanta, tondi tondi. Lo dice ridendo, con quella miracolosa allegria che le conosco da quando la incrociai a Roma al teatro femminista La Maddalena intorno al 1975, teatro che aveva fondato con le scrittrici Dacia Maraini, Adele Cambria, Maricla Boggio, la regista Sofia Scandurra, la produttrice cinematografica Lù Leone e altre.
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