Proprio adesso, tempo in cui le biblioteche stanno per perdere senso e ragion d’essere, riappare, pubblicato nella collana Saggi Einaudi, “La Biblioteca, Una storia mondiale” di James W.P. Campbell e Will Pryce (552 pp., € 48 euro). In realtà l’odierna edizione è la ristampa, ridotta nel formato, d’identico tomo, la cui prima fu pubblicata nel 2013 in dimensione fuori misura come sono certi libri d’arte, diciamo in folio, secondo classica definizione: per consultarla più agevolmente avrebbe dovuta esser posta, tipo antifonario, su un leggio. Per realizzare questo gigantismo cartaceo i due autori avevano visitato più di ottanta biblioteche in giro per il mondo: Pryce fotografava gli scenografici e preziosi interni; mentre Campbell, autore dei testi, si slargava per genesi e sviluppo sugli edifici costruiti intorno ai libri. Divagando un poco per il mutevole rapporto dell’umanità con la parola scritta ma soprattutto sul perché le biblioteche, in quanto edifici, siano sempre state, oltre che depositi di libri, simboli di civiltà: lo studio della scatola che trascura il contenuto. Opera certo di un autore autentico specialista che vanta nella personale bibliografia titoli di alta divulgazione tipo “Il mattone e la sua storia”. E il libro? L’oggetto per cui le biblioteche esistono? Il reale fine di “La Biblioteca. Una storia mondiale” si comprende subito: per mezzo delle voluttuose figure, esaltare il voyeurismo per architettonici sacrali luoghi, più simbolici che reali, trasfigurandoli: “ambienti” che signoreggiano l’esibita esteriore personalità dei più solenni depositi di ammassi libreschi sorti per l’universo mondo dall’antichità ai tempi nostri.
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