Solo, ma nella sua casa con le porte di lacca cinese e la postazione dello scrivano sospesa sul grande ambiente librario e mondano, il suo orgoglio o la sua anima territoriale con la vista di Capri e la salsa alla genovese, Paolo Isotta è morto ieri di schianto, precisamente come aveva vissuto, insegnato, scritto, provocato, amato, odiato o disprezzato. Il critico musicale, poi musicista e sopra tutto scrittore, era un amico scontroso e ironico della ditta fogliante e frondista, almeno finché non diventò la casa del suo forse più intimo nemico, il grande musicologo Mario Bortolotto. Era uno di quei fascisti immaginari e vocazionali, nati fuori del proprio tempo, che hanno sfondato il muro intransigente eretto dalla gente perbene, e sono penetrati nell’establishment della cultura per vivificarlo, differenziarlo, vituperarlo, sbeffeggiarlo e subirne l’animosità e il rigetto impotente.
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