Passano gli anni, spuntano le rughe, i figli crescono, i padri muoiono e Yasmina Reza alza il tiro della sua ambizione con un romanzo molto teatrale, in cui riversa la farsa tragica del nostro tempo osando l’indicibile. Ridicolizza i viaggi turistici a Auschwitz e denuncia l’assurdità del dovere della memoria. Lo fa mettendo in scena una famiglia di ebrei sopravvissuti all’Olocausto e la connivenza primigenia di un trio di due fratelli e una sorella, che si adorano, si inseguono, si dilaniano e si tormentano per futili motivi, sino a litigare a morte mentre vagano nel teatro della tragedia del Novecento, e finiscono per ritrovarsi in limine mortis in un abbraccio pieno di compassione. Caustica, politicamente scorrettissima, nihilista disperata e però dotata di feroce ironia, Yasmina Reza scrive respirando il teatro. Da trent’anni i suoi testi vengono rappresentati in mezzo mondo e persino adattati al cinema, ricorderete Carnage di Roman Polanski.
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