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”The Zookeepers' War”, libriccino istruttivo

Nella lotta tra gli zoo di Berlino c'è la storia della vanità di chi pretende il potere

Stefano Pistolini

Heinz-Georg Klös, veterinario e avido collezionista di animali, dirigeva quello della parte ovest. Heinrich Dathe, ex attivista del partito nazista che si era miracolosamente ricostruito una rispettabilità, quello a est. Il muro è caduto, ma la battaglia tra i successori dei due non si è affievolita

Sul fatto che tra le molte défaillance dell’uomo occidentale ci sia lo sviluppo di un devastante rapporto con le altre razze animali – prim’ancora che diventassimo tutti esperti di pipistrelli e pangolini – aveva detto molto “Tiger King”, la magnifica serie Netflix su una masnada di scriteriati che trafficano in bestie feroci. Che la cosa acquisti una suggestiva matrice sociopolitica lo insegna il libro scritto dal giornalista tedesco J.W. Mohnhaupt che, dopo essere diventato un bestseller in patria, ora desta stupore all’estero, col titolo “The Zookeepers’ War”. Non c’è da sorprendersene: la storia che racconta ha i crismi della novella esemplare, non fosse che riguarda fatti e personaggi assolutamente reali, si svolga nel cuore di una delle capitali della vecchia Europa e metta spietatamente in fila le peggiori propensioni degli uomini, pronti a gesti insani per assicurarsi una zolla di potere.

 

Dunque a Berlino c’era uno zoo, piuttosto sacrificato dagli spazi urbani e il resto del mondo se n’era interessato solo quando l’indagine dei cronisti Kai Hermann e Horst Rieck raccontò di Christiane F e degli altri giovani tossici che gravitavano nel sordido mondo attorno alla limitrofa stazione della metropolitana. In realtà, per i veri abitanti di Berlino la questione aveva contorni più definiti: da quando nel dopoguerra s’era consumata la spartizione della città, anche la questione dello zoo si era trasformata in oggetto del contendere. Nella condizione d’isolamento dal mondo circostante, l’idea di conoscere gli animali vedendoli in carne e ossa era divenuta un’attività popolarissima. E a rivaleggiare con quello vecchio, collocato nel settore controllato dagli Alleati, era stato presto impiantato un nuovo zoo nel settore orientale governato dai russi, battezzato Tierpark e da subito intenzionato a primeggiare nell’offerta.

 

  

A personalizzare la sfida ci pensano i direttori designati delle rispettive strutture: Heinz-Georg Klös a ovest, un giovane veterinario e avido collezionista di animali, e il più stagionato Heinrich Dathe a Berlino est, un ex attivista del partito nazista che si era miracolosamente ricostruito una rispettabilità. I due non ci mettono molto a entrare in rotta di collisione, cominciando ad acquistare freneticamente nuovi animali per i loro zoo che non disponevano delle strutture necessarie a ospitarli. Del resto, già prima del Muro il governo socialista mal tollerava che i berlinesi dell’est si recassero a ovest a visitare lo zoo, “regalando soldi ai capitalisti”: il modo migliore per evitarlo era offrir loro uno spettacolo di molto superiore alla concorrenza. Presto per Klös e Dathe non si tratta più di un lavoro ma di una missione. Ed ecco Dathe che acquista dei poveri coccodrilli così grandi da costringerli a vivere in vasche praticamente verticali. Mentre Klös si vede recapitare in dono da JFK, durante la celebre visita in città, un’aquila calva che viene battezzata Will in onore del sindaco Willy Brandt, non fosse che il volatile si rivela vecchio e malato e nottetempo viene sostituito con uno giovane e aitante, per non rovinare la reputazione del primo cittadino. La gara diventa parossistica: se a ovest arrivava un rinoceronte, a est ne venivano ordinati due. Se Dathe non aveva un’area riservata alle scimmie, Klös spendeva una fortuna per costruirne una colossale. Un vero microcosmo della Guerra fredda e una parabola sull’insensatezza umana allorché sono la vanità e il desiderio di sopraffazione a dominare, trascinando lo scontro sul piano ideologico – in chiave surreale, ovviamente.

   

Per la cronaca arrivò il giorno in cui Klös e Dathe vengono alle mani, nella gabbia degli elefanti, come in una comica del cinema slapstick. E nemmeno la riunificazione dell’89 metterà la parola fine alla contesa. Nella Berlino riunita continuano a esserci due zoo, ciascuno col suo vanto. L’ascia di guerra è seppellita, ma nessuno ha mai veramente fatto un passo indietro. Magari dicendo che di gabbie di leoni poteva bastarne una sola.

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