La peste bubbonica del 541 d.C. è la prima grande pandemia documentata dalle cronache del tempo. Colpì sia l’impero romano-bizantino che la Persia e altre regioni orientali. Costantinopoli perse quasi la metà dei suoi abitanti (allora ne contava circa duecentomila). Si aprirono così le porte alle invasioni dei popoli nomadi provenienti dalla penisola arabica, da poco convertiti all’islam. Le pestilenze devastarono l’Europa continentale almeno fino al 760. Medici cristiani e musulmani studiarono l’infezione, le sue cause e i modi per prevenirla, riprendendo libri sacri e autori classici: Tucidide, Galeno, Ippocrate, Aristotele, Platone, Rufo di Efeso e i cronisti dell’età giustinianea. Al-Razi (850-923) medico di Bagdad, “diede la prima chiara descrizione clinica di queste affezioni; già nel 910 aveva trattato la sintomatologia del vaiolo. Fiorirono le traduzioni in arabo e i commentari ai testi medici antichi: fu anche merito di questo impegno scientifico-letterario se l’occidente riscoprì la scienza del mondo classico” (Carlo Venuti, La vita al tempo della peste, Quaderni Guarneriani, 2015).
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